Nora Webster, sessant’anni circa,
si ritrova vedova dopo la morte
dell’amato marito Maurice.
Madre di quattro figli – due
ragazze più grandi e due bambini
ancora abbastanza piccoli
– è costretta a reinventarsi, a ridisegnare
i contorni delle sue giornate, a riscoprire
il senso di quello che fa.
Il problema è che lei non percepisce
più questo signicato che dà luce
e calore alle giornate. È sprofondata
in una sorta di apatia, prova insofferenza
verso i fatti e le parole che
sembrano interessare gli altri. Non aiuta
l’ambiente in cui vive: la provincia
irlandese dove tutti conoscono tutti.
Eppure Nora deve continuare a
vivere: riprende a lavorare nella ditta
dove era impiegata da giovane, le figlie
e i bambini con le loro necessità la costringono
a uscire dalla solitudine in
cui vorrebbe sprofondare. La gente intorno
a lei non smette di manifestare la
propria solidarietà e Nora, a un certo
punto, finisce con l’accettare dopo
tanto tempo l’invito a uscire di casa.
In una di queste occasioni scopre il canto
e la musica, il loro magico potere, al
punto da esserne quasi spaventata, perché
sente che – seguendone la suggestione
– abiterebbe, per la prima volta,
uno spazio in cui si troverebbe sola,
senza il marito, rievocato in alcuni,
rari, flashback.
Siamo alla fine degli
anni Sessanta e la vicenda individuale
di Nora si staglia sullo sfondo storico
dei conflitti che hanno insanguinato
per decenni il Paese.
Con Nora Webster Colm Tóibín ci
consegna un potente ritratto femminile,
la storia di una donna intelligente
e ostinata costretta a fare i conti con
il dolore e la morte, a vivere la fatica
di elaborare il distacco dalla persona
amata, a guardarsi dentro e riscoprire
sé stessa. Come deve fare, in
fondo, il suo Paese, l’Irlanda, per conquistare
un futuro di pace.
Storia: 7
Scrittura: 7,5
Copertina: 5,5