Monsignor Cesare Nosiglia, 75 anni, e Chiara Appendino, 35, pregano nelle navate deserte della chiesa di Nostra Signora della Salute, il 26 febbraio 2020, Mercoledì delle Ceneri. Foto Andrea Pellegrini/La voce e il tempo, per gentile concessione
Le immagini hanno un impatto cento volte maggiore del più emozionante degli editoriali. Spazio alle foto, allora. Il primo prelato è ritratto in preghiera accanto al sindaco Chiara Appendino, in un Borgo chiamato Vittoria per celebrare la sconfitta dei francesci nel 1706 (sì, propria quella per cui si immolò Pietro Micca), soli, la guida spirituale e la guida civile, nella chiesa nata per ringraziare la Vergine Maria d'aver interceduto presso Dio e fatto terminare la devastante epidemia di colera del 1835. Il secondo uomo di Chiesa, invece, è immortalato prima mentre celebra un solitario rito delle Ceneri in una deserta Basilica di San Marco, e poi fuori mentre benedice Venezia e i veneziani con l'Ostensorio in una delle più rinomate piazza del mondo.
Chiesa e coronavirus. Cesare Nosiglia, 75 anni, è arcivescovo di Torino. Francesco Moraglia, 66 anni, è patriarca di Venezia. In tempi diversi, ma con le stesse modalità (due interviste) e con gli stessi accenti (accorati, ma costruttivi), hanno entrambi sollevato una questione sentita da molti in questi giorni (basta sintonizzarsi sulle frequenze di Radio Maria o di Radio Mater, ovvero leggere mail e messaggi inviati al nostro giornale): ferma restando la difesa della salute pubblica, la cancellazione delle celebrazioni eucaristiche non sottende forse la svalutazione della dimensione religiosa, della natura spirituale delle persone da considerarsi anch'essa in qualche modo bene di prima necessità?
Monsignor Cesare Nosiglia, 75 anni, e Chiara Appendino, 35, pregano nelle navate deserte della chiesa di Nostra Signora della Salute, il 26 febbraio 2020, Mercoledì delle Ceneri. Foto Andrea Pellegrini/La voce e il tempo, per gentile concessione
Nosiglia ha risposto alle domande rivoltegli dai giornalisti del settimnanale diocesano di Torino La vocee il tempo. «Abbiamo accolto come diocesi del Piemonte le disposizioni richieste dalla Regione, perché rispettiamo le delibere dell’autorità civile e per garantire al massimo la salute dei cittadini, così come hanno fatto le Conferenze episcopali della Liguria, della Lombardia e del Triveneto», ha esordio monsignor Cesare Nosiglia. «La Messa feriale, come sappiamo, è generalmente frequentata da un numero modesto di fedeli. Va pertanto detto onestamente che tale proibizione è una scelta che penalizza solo una componente della città, lasciando aperti altri spazi pubblici frequentati da numeri ben maggiori di cittadini. Mi riferisco ai mercati e supermercati, o al metrò e agli autobus e tram e così via… Sembra che i servizi alla popolazione possono essere garantiti perché essenziali, mentre quelli di ordine religioso vengano considerati superflui e dunque non esenti da provvedimenti restrittivi come si è fatto».
Quando gli è stato domandato se.un fedele può chiedere di fare la Comunione anche senza la Messa, ma solo preparandosi con la preghiera, l'arcivescovo di Torino ha risposto: «Certamente, perché non si tratta di una funzione che coinvolge grandi numeri, ma esprime un desiderio personale di cibarsi dell’ostia consacrata; è permesso dalla Chiesa, in passato questa pratica era abbastanza usuale». E ha aggiunto: «La preghiera sostiene il credente che trova in essa conforto e speranza. E il fatto di pregare Dio perché ci aiuti ad affrontare questa situazione e dia forza a coloro che ne portano le conseguenze produce certamente un frutto di bene grandissimo di cui può usufruire tutta la società».
«Che cosa dice dunque ai fedeli e alle istituzioni?», hanno chiesto infine i giornalisti del settimanale diocesano di Torino. «Ai fedeli». ha replicato monsingor Nosiglia, «dico di accettare la scelta fatta come un modo certo imprevisto, ma significativo di quella penitenza quaresimale propria del tempo liturgico che iniziamo in questa settimana. Per chi è abituato a frequentare ogni giorno la sua parrocchia e fare la comunione è certamente un sacrificio non piccolo: ma può portare buon frutto se viene offerto al Signore. Alle istituzioni dico di non sottovalutare la realtà religiosa confinandola nelle scelte personali e private e così dimenticando che essa invece ha una valenza pubblica, etica e sociale che aiuta molto non solo chi ne accoglie il valore, ma l’intera comunità cittadina. Questo senza togliere nulla ad altri servizi pure importanti»
Venezia, Mercoledì delle Ceneri, 26 febbraio 2020. Un fermo immagine della Messa celebrata dal patriarca Francesco Moraglia in una Basilica di San Marco deserta. Foto tratta dal sito Gente veneta.
Il patriarca Moraglia: «Chiederò che da lunedì prossimo ci siano delle possibilità di preghiera comune»
Monsignor Francesco Moraglia, patriarca di Venezia, invece, è stato intervistato dal Corriere della Sera. «Qualcuno ha fatto emergere la contraddizione tra le Messe sospese e palestre e mercati aperti. Pensa si possa superare questo divieto?», gli è stato chiesto.
«È un tema che ho già affrontato con il governatore Zaia, sempre collaborativo e capace di comprendere il nostro disagio. Dipenderà molto dai numeri dei contagiati ma è necessario che si trovino dei momenti in cui la comunità ecclesiale a livello di parrocchie e di unità pastorale possa pregare assieme. Non penso che le Messe feriali ad esempio, visto la frequentazione non eccessiva, possano rappresentare un problema. Troviamo delle regole di partecipazione comune: il numero di persone, delle messe, i presidi igienici alle porte delle chiese. È di difficile comprensione vedere mercati, palestre, piscine, anch’essi luogo di incontro e di aggregazione, aperte e le Messe sospese. Per questo a nome della Conferenza episcopale del Triveneto chiederò che da lunedì prossimo ci siano delle possibilità di preghiera comune»