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mercoledì 19 marzo 2025
 
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O la borsa o la vita: la buona pratica è un maglificio

27/10/2017  A Quindici, in provincia di Avellino, in un bene confiscato alla camorra, un gruppo di giovani fabbrica "shopper": "Tessiamo trame di speranza", dicono. E' una delle 402 esperienze presentate come esempio

Arancione brillante su tela grezza. La storia della borsa che hanno ricevuto i delegati alla Settimana Sociale  affonda le radici in una terra “liberata”. A Quindici,  primo paese in Italia a essere sciolto nell’83 per mafia, quando la legge non era ancora stata approvata  - il sindaco eletto era quel Pasquale Raffaele Graziano,  braccio destro di Raffaele Cutolo – in un bene confiscato è nata la Cooperativa 100quindici passi. Nella villa dei Graziano, oggi intitolato alla prima vittima innocente della zona, Nunziante Scibelli, la cooperativa Oasiproject, aderente a Libera, ha aperto un maglificio dove lavorano due ragazzi e quindici volontari. “Bisognava dimostrare che oggi,  a Quindici, c’è il lavoro, senza cercarlo ‘altrove, come si è abituati a fare da sempre ’”, dice  Francesco Iandolo, 29 anni, animatore del progetto Policoro. Capo clan nella parrocchia  Cuore Immacolata di Maria ad Avellino, Francesco racconta dello striscione “Benvenuti a casa” che accoglie sull’ingresso della villa i giovani giunti a Quindici da tutt’Italia per i campi di lavoro di  Libera o  i bambini e i ragazzi del doposcuola che il pomeriggio frequentano l’ex fortino, un tempo temuto e inaccessibile. “”E’ importante come messaggio che le porte siano aperte, che oltre a essere luogo di lavoro questo venga considerato spazio di socializzazione,  centro a disposizione della comunità”. Il sogno per il futuro? “Fare una fondazione, una scuola per i mestieri, insieme ad altre forze sane. La questione  della legalità”, aggiunge Francesco, “si risolve con uno sviluppo che non dipende solo da noi”.

Il loro maglificio - “100Quindici” - prende a prestito l’immagine dei “cento passi” di Peppino Impastato. “Ne abbiamo aggiunto altri 15, per provare ad aprire gli occhi”.

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Considerare il lavoratore «una riga di costo del bilancio» è mortificarne la dignità
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