Quando negli anni Settanta, giovane studente di teologia in Germania, leggeva Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger e si prenotava a un corso estivo, a Salisburgo, per poter seguire le lezioni dell’autore, mai padre Federico Lombardi avrebbe pensato un giorno di essere presidente della Fondazione intitolata al teologo diventato papa con il nome di Benedetto XVI. Lombardi, che lo scorso agosto ha festeggiato i suoi 80 anni, ci racconta il cuore della teologia di Ratzinger e il magistero di Benedetto. «Il filo conduttore dei 95 anni di Joseph Ratzinger, come credente, come pastore e come Papa è nella ricerca del Dio di Gesù Cristo e nel presentare la fede nel mondo di oggi. Un teologo credente che si sente radicato nella fede che ha ricevuto dalla tradizione della Chiesa, che porta avanti e sviluppa, con la consapevolezza che è ricevuta e va trasmessa agli altri. C’è questa grandissima continuità nella sua vita, anche se è passato attraverso fasi diverse: studio, insegnamento della teologia, pastore come arcivescovo di Monaco, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Papa e anche nel ritiro dopo la rinuncia. Ratzinger ha sempre detto che il compito primo di chi lavora per la Chiesa e per l’annuncio della fede, a partire dal Papa, è condurre gli uomini e le donne a incontrare Dio. Non un dio qualunque, ma il Dio che ci è stato rivelato da Gesù Cristo. Nella sua vita e ricerca spirituale non è un caso che il culmine sia stata la trilogia su Gesù. Ha avuto sempre uno sguardo molto ampio sulla presentazione della fede, in maniera organica, sistematica, non perché formale o intellettualistico, ma per poter dire una parola che si allarga a diversi interrogativi e dimensioni della vita e dello spirito. Una capacità di fare sintesi tra cultura, teologia e spiritualità, che si manifestava anche come pastore nelle sue omelie».
Che rapporto aveva con papa Benedetto?
«L’ho conosciuto all’inizio come professore di Teologia, da prefetto della fede e quindi come Papa. Il suo libro Introduzione al cristianesimo, che è frutto di un corso all’università di Tubinga ed è una presentazione complessiva della fede seguendo gli articoli del Credo, ebbe un successo straordinario. Fui contento quando Giovanni Paolo II lo chiamò alla Dottrina della fede, un grande teologo con una forte ispirazione conciliare e capace di presentare la fede nel nostro tempo, senza rotture, polemiche e aggressività. Lo trovavo affascinante per me e positivo nella Chiesa. Quando nel 1990 entrai nelle comunicazioni vaticane lui era prefetto alla Congregazione della dottrina della fede. Seguivo la vita della Chiesa e il magistero di Giovanni Paolo II, che era in rapporto continuo e profondo con il prefetto della Dottrina della fede. In quegli anni, dal ’90 in poi, c’erano state le dichiarazioni sulla Teologia della liberazione, molto contestate, ma ho apprezzato che ci fosse non solo la parte critica, ma anche la parte costruttiva e positiva. Poi il catechismo, lavoro collettivo ma certamente guidato e condotto con il suo spirito; quindi la Dominus Iesus (la dichiarazione dottrinale circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, ndr), per il Giubileo del 2000…»
Si è molto scritto della riservatezza di Joseph Ratzinger. Era un Papa timido?
«Bisogna interpretarla correttamente. Certamente era una persona con un tratto riservato, anche nelle espressioni, fine, discreto, attento ad ascoltare con molto rispetto prima di parlare e senza nessun atteggiamento di imporre ad altri la sua visione. Allo stesso tempo era una persona molto convinta e, avendo approfondito bene le sue idee, era anche molto deciso nel sostenerle e nell’affermarle. Affrontava anche il dibattito teologico, il confronto ad alto livello intellettuale con notevole coraggio, molto più di quanto tante altre persone siano disposte a fare. Quindi non timidezza nel sostenere le sue idee, anche pubblicamente. E allo stesso tempo una grandissima capacità espressiva, nelle sue omelie e lezioni. Non aveva la comunicazione di chi trascina grandi masse con toni forti, ma era capace di tenere alto il discorso anche in situazioni impegnative, come quelle che ha vissuto nel suo magistero, come le Giornate mondiali della gioventù. E non è per nulla un teologo oscuro, anche per chi ama leggerlo è un maestro della chiarezza nella conduzione del discorso, del cammino di approfondimento, convinto di avere una verità da presentare, che lui aveva assimilato in maniera sufficiente per poterne parlare con libertà e padronanza nel suo genere di espressione. Non ho mai conosciuto nessun altro capace di dare risposte come lui: sintetiche, precise e ricche».
La Fondazione Ratzinger come ha raccolta la sua eredità?
«Esiste anche un Istituto papa Benedetto XVI, a Ratisbona, che cura tutta la produzione in tedesco e l’opera omnia. La Fondazione vaticana Ratzinger è una piccola realtà che per statuto, più che studiare l’opera di Ratzinger, porta avanti l’eredità del suo pensiero, coltivando una presenza nella teologia e anche approfondendo temi nuovi. Lo fa attraverso i Premi Ratzinger, che propongono personalità con particolari meriti nel campo della filosofia, della teologia e dell’arte cristianamente ispirate. Il premio è andato anche a cristiani di altre confessioni e, l’ultimo anno, a un ebreo, il professor Joseph Wieler, per i suoi studi su fede e ragione giuridica. Ciò risponde a quell’idea di “ragione aperta” che è una delle piste su cui lavora la Fondazione: fede e ragione sono ambedue essenziali nel cammino verso la verità, ma la ragione non deve chiudersi su se stessa, in un modo positivistico che rifiuti l’apertura alla trascendenza, bensì mantenersi aperta a un dialogo con altre discipline. La Fondazione cura anche convegni di approfondimento su temi di attualità per la Chiesa. Infine ha delle borse studio per dottorandi in Teologia. L’opera omnia in italiano è seguita dalla Libreria editrice vaticana».
Lei sottolineava nell’opera di Benedetto questa ricerca di Dio e l’urgenza di presentare la fede nel mondo di oggi. Francesco sta dedicando l’ultimo ciclo di catechesi allo zelo apostolico. Quale continuità tra i due Papi?
«Personalità e stili sono differenti per ogni Papa, e questo è un bene per la Chiesa. Sono persone che hanno doni specifici: uno più magisteriale, nel senso della dimensione culturale, dell’insegnamento; l’altro più pastorale, con una capacità straordinaria di mostrarsi vicino alla gente, e un grande impegno nel rinnovamento del Sinodo e di altre strutture della Chiesa, a partire da una visione religiosa forte e specifica centrata sul tema della misericordia. Detto questo, però, per quanto riguarda il servizio alla fede che il Papa svolge le differenze sono piuttosto ristrette. La massima parte della missione – parlare di Dio, annunciare la misericordia di Dio in Gesù Cristo, avvicinare le persone a Dio, sostenere la vita della Chiesa nel mondo – attraversa tutti i papati, la sostanza è fondamentalmente la stessa. Cambiano i problemi, le situazioni, ma non quello che i Papi debbono fare».