E’ uno di quei sacerdoti, padre Giuseppe Girotti, che hanno riscattato l’onore dell’Europa negli anni bui della Seconda guerra mondiale. Il 28 marzo scorso il Papa ha approvato il decreto che ne riconosce il martirio: il religioso, infatti, finì i suoi giorni “in odio alla fede” (come recita la comunicazione ufficiale del Vaticano) nel campo di sterminio di Dachau. La sua storia è oggi ricordata dall’Anpi (Associazione nazionale partigiani italiani), dallo Stato d’Israele, dalla Chiesa cattolica. Dal Governo israeliano è stato insignito nel 1995 del riconoscimento di ‘giusto fra le nazioni’, l’onorificenza che viene data a quanti si adoperarono per salvare gli ebrei durante la Shoah. Il sito web dell’Anpi, lo ricorda nella sezione “uomini e donne della Resistenza”.
E del resto il biblista Girotti, dell’Ordine dei Frati predicatori, i domenicani, nato nel 1905 e morto a nemmeno 40 anni il giorno di Pasqua del primo aprile del 1945 nel campo di Dachau, è originario della città di Alba. Si tratta di quella zona d’Italia, raccontata fra gli altri dallo scrittore e partigiano Beppe Fenoglio, che certo non restò inerte di fronte a fascismo e al nazismo. La storia di padre Giuseppe, però, ha una sua singolarità: il religioso fu un appassionato di studi biblici. Girotti si forma prima all’Angelicum di Roma, presso i domenicani, quindi all’Ecole biblique di Gerusalemme. Qui matura una conoscenza del mondo ebraico, un’amicizia con ‘i fratelli maggiori’, che saranno decisivi negli avvenimenti seguenti. A Torino si svolgerà poi la parte decisiva della sua vita; nel capoluogo piemontese infatti si dividerà fra l’insegnamento al seminario teologico domenicano e nell’azione caritativa presso “L’Ospizio dei poveri vecchi”. In quel periodo pubblica studi importanti sulle Scritture, allo stesso tempo guarda con crescente senso critico alla realtà che lo circonda e al fascismo. Per questo il regime comincia a tenerlo d’occhio, poi arrivano le minacce infine viene limitata la sua possibilità d’insegnare.
Ma è dopo l’8 settembre che Girotti entra in azione. Crea una rete clandestina di sostegno per partigiani ed ebrei, alcuni di loro verranno nascosti, ad altri vengono forniti i documenti falsi per sfuggire alle persecuzioni. E’ un’attività ampia, che ha risonanza, per questo viene ricercato e poi catturato dai fascisti grazie a una delazione. Trascorre un primo periodo di prigionia a Torino, quindi viene trasferito a San Vittore, a Milano, i tentativi dei suoi superiori per ottenerne la liberazione sono inutili; finisce al capo di Bolzano–Gries e da lì a Dachau, è il 5 ottobre del 1944. A Dachau muore il primo aprile del 1945, mancano pochi giorni all’arrivo degli Alleati. Un altro prete detenuto con lui, don Angelo Dalmasso, racconterà poi che padre Girotti si diede da fare fino all’ultimo per stare vicino a quanti soffrivano e morivano nel campo. Alla fine crolla anche fisicamente: si ammala, le condizioni di vita sono impossibili, ed è trasferito in infermeria. Non è certo se qui viene ucciso con un’iniezione letale dai nazisti.
Da rilevare che Dachau ha un significato del tutto particolare nella storia delle persecuzioni che colpirono la Chiesa cattolica. Nel lager furono infatti rinchiusi, dal 1939 al 1945, 2.794 sacerdoti, compresi alcuni vescovi. 1.786 di loro erano polacchi, oltre mille sono i sacerdoti che vi persero la vita. Dei preti detenuti a Dachau 43 sono stati riconosciuti come martiri. A Dachau trovò la morte, fra gli altri, don Stefan Wincenty Frelichowski, sacerdote polacco perseguitato dalle autorità naziste fin dal 1939, don Stefan fu dichiarato beato da Giovanni Paolo II nel 1999. Particolarmente feroce fu in ogni caso l’accanimento delle SS e della Gestapo contro gli esponenti della Chiesa in Polonia, si ricordi anche la morte di Massimiliano Kolbe ad Auschwitz, in quanto essa rappresentava un motivo fondamentale dell’identità nazionale del Paese.
Molti i sacerdoti uccisi e perseguitati dai tedeschi e dai fascisti anche in Italia; fra questi ultimi ne basti ricordare due: don Pietro Pappagallo ucciso alle Fosse Ardeatine, e don Giuseppe Morsini che collaborò coni partigiani a Roma; Sandro Pertini lo ha ricordato così: “Detenuto a Regina Coeli sotto i tedeschi, incontrai un mattino don Giuseppe Morosini: usciva da un interrogatorio delle SS, il volto tumefatto grondava sangue, come Cristo dopo la flagellazione. Con le lacrime agli occhi gli espressi la mia solidarietà: egli si sforzò di sorridermi e le labbra gli sanguinarono. Nei suoi occhi brillava una luce viva. La luce della sua fede. Benedisse il plotone di esecuzione dicendo ad alta voce: 'Dio, perdona loro: non sanno quello che fanno', come Cristo sul Golgota”.