E così Fabrizio De André ha conquistato un nuovo fan all’interno della Chiesa. Papa Francesco, nella prefazione di un «piccolo ma prezioso libro», come Bergoglio definisce l'opera del giornalista italo-argentino, Alver Metalli, Cuarentena - Diario dalla 'peste' in una bidonville argentina'', che esce come ebook per le edizioni San Paolo, ha citato i versi di una delle canzoni più celebri del cantautore genovese, “La città vecchia”. Si tratta, scrive il Papa, di «un diario che racconta giorno dopo giorno la 'Cuarentena' vissuta dal giornalista tra le catapecchie de 'La Carcova', in una delle villas miseria, le baraccopoli di Buenos Aires dove opera un gruppo di sacerdoti a cui voglio tanto bene”.
Francesco, che è stato anche Arcivescovo di Buenos Aires oltre a esservi nato, aggiunge che questo Diario «che ci mostra il volto avvincente e concreto di una Chiesa povera e per i poveri» gli fa tornare in mente «i versi di un cantautore italiano, Fabrizio de André, che raccontano di quartieri malfamati dove "il sole del buon Dio non dà i suoi raggi" perché troppo impegnato a "scaldar la gente di altri paraggi". Ecco, questo libro ci fa invece vedere come - attraverso il dono della testimonianza - non ci sia zona, per quanto oscura, dove un raggio del buon Dio non arrivi a riscaldare qualche cuore e illuminare esistenze altrimenti invisibili».
De André scrisse “La città vecchia” a metà degli anni ’60, prima di raggiungere la notorietà grazie a Mina che nel 1967 registrò la sua “Canzone di Marinella”. E’ la descrizione della vita che si consumava nei vicoli di Genova di fronte al porto, dove il giovane Fabrizio, proveniente dalla ricca borghesia della città, passava gran parte del suo tempo perché vi ritrovava un’umanità più autentica, anche se reietta dalla società: ladri, prostitute (come quella protagonista di un altro celebre brano di quel periodo, "Via del Campo"), pensionati arrabbiati dalla vita.
Nella conclusione della canzone, De André sintetizza quel senso di carità cristiana, di cura per il destino degli ultimi che è sempre stato al centro della sua poetica: «Se tu penserai e giudicherai da buon borghese, li condannerai a cinquemila anni più le spese. Ma se capirai se li cercherai fino in fondo, se non sono gigli son pur sempre figli Vittime di questo mondo».
In quegli anni il suo linguaggio a volte crudo gli attirava gli strali della censura. Ma, proprio come accadde a Francesco Guccini con “Dio è morto”, questo non accadeva con Radio Vaticana, che trasmise canzoni senza problemi brani come “Si chiamava Gesù”, “Preghiera in gennaio” e “Spiritual” mai mandati in onda dalla Rai.
Fabrizio si definiva ateo, ma al tempo stesso terribilmente affascinato dalla figura di Gesù, che definì “il più grande rivoluzionario della storia”, tanto da dedicargli nel 1970, in pieno fermento post-sessantottino, un intero album, “La buona novella”, frutto di uno studio meticolosissimo dei Vangeli apocrifi. Anche in questo caso, alla perplessità degli ambienti laici si accompagnò invece il plauso di buona parte degli ambienti ecclesiastici.
Nove anni dopo, il cantautore fu vittima di un episodio drammatico, il sequestro da parte dell’anonima sarda con la compagna Dori Ghezzi. Un periodo che fu fondamentale anche per la sua riflessione sulla spiritualità, come annotò lui stesso nei suoi diari pubblicati di recente nel libro “Sotto le ciglia chissà”: “Le ore scorrevano in lunghi silenzi che per me hanno contato molto perché mi ha portato a una riscoperto o per lo meno a delle riflessioni su Dio. Credo nella mia vita di aver spesso messo in discussione la religione, di essermi fatto beffe di dogmi e aver ascoltato con orecchio critico di crisi mistiche. Eppure io, in quella terra che amavo e in balìa di uomini che non capivo, soggetto a un destino che non mi ero scelto, ho ricominciato a credere, a cercare nella forza di un’Entità diversa, superiore a quella umana, il bisogno di Dio. Non so ancora se questa è una mia svolta essenziale o no. E’ stata fatta in tempi troppo drammatici perché io abbia le idee chiare, ma quel che so è che Dio, anche se in modo ancora informe, dentro di me, ho sentito che c’era».
Di sicuro, uno dei suoi migliori amici è stato don Andrea Gallo, fondatore e animatore della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova, di cui in questi giorni si ricordano i 7 anni dalla scomparsa. E’ultima canzone che chiude l’ultimo album inciso da Fabrizio De André nel 1996, “Anime salve”, si intitola “Smisurata preghiera”. Si conclude così: «Ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco. Non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti. Come una svista, come un’anomalia, come una distrazione, come un dovere».