L’ultima aggressione l’ha ricevuta lo scorso novembre: le mogli del clan Spada hanno minacciato di uccidere i tre figli della giornalista Federica Angeli ed è stata assegnata la scorta anche ai bambini. «I due più piccoli, che hanno 9 e 11 anni, non l’hanno vissuta male, mentre il più grande, che ne ha 14, soffre di questa situazione: è nell’età in cui comincia a uscire con gli amici e si è rifiutato di andare alla gita scolastica per non avere i poliziotti al seguito. Non me ne fa una colpa, però, anzi, mi ha confidato di capire meglio quello che io sto vivendo». Perché la Angeli vive sotto scorta dal luglio 2013, dopo che aveva denunciato una sparatoria avvenuta sotto casa sua a Ostia tra due clan rivali (il clan Spada e il clan Triassi), di cui era l’unica testimone oculare.
Prima ancora era stata sequestrata in una stanza e minacciata di morte per essere entrata con una telecamera in uno stabilimento balneare di Ostia gestito dagli Spada. All’inizio il suo giornale, la Repubblica, per proteggerla l’aveva sollevata dal caso, ma poi è tornata a lavorare sul campo. Il suo libro autobiografico A mano disarmata. Cronaca di millesettecento giorni sotto scorta (Baldini & Castoldi, vincitore del Premio Estense, del Premio Piersanti Mattarella e del Premio Capalbio) è uscito nella primavera del 2018. Inizialmente doveva ispirare una docufiction, poi invece la giornalista è stata coinvolta dal regista Claudio Bonivento nella stesura della sceneggiatura del film con Domitilla Shula Di Pietro.
«Il messaggio del film è che io sono una donna normale, non una supereroina, ma con la testardaggine di andare avanti e vincere. Non avrei mai accettato una storia che si mettesse dalla parte dei delinquenti, come accade in tante serie di successo. Basta male! I cattivi appaiono solo in poche scene e sono funzionali alla mia vicenda». Federica Angeli vive ancora a Ostia: «Non ho mai pensato di andarmene, anche se abitare lì non è semplice e il tempo ha dimostrato che sono stati loro, i malavitosi, ad allontanarsi visto che sono finiti in carcere. La gente ha preso coraggio, sono iniziate le denunce, i negozianti si sono ribellati. Certo, c’è ancora una zona grigia molto vasta, i mafiosi non sono solo quelli che sparano, i più visibili, ma ne fanno parte anche gli imprenditori corrotti e i politici che assegnano i bandi». Come Aldo Papalini, figura apicale del Municipio, sotto processo per la sottrazione di uno stabilimento balneare dal Cral Poste Italiane in favore della società Blu Dream, di cui Spada era socio di fatto. «I rapporti con la malavita sono difficili da scardinare, erano diventati la normalità, è dificile cambiare una mentalità di questo tipo».