Non si nega. E rilancia. Riflettendo con Famiglia Cristiana sullo sfarzoso funerale del boss romano Vittorio Casamonica, il Prefetto della Capitale, Franco Gabrielli, ammette inefficienze e lacune dell'apparato di sicurezza, lamenta un'eccessiva amplificazione mediatica e difende Roma: «Non è corretto parlare di una criticità riferita al luogo».
Signor Prefetto, a 24 ore dallo scandaloso evento che valutazioni fa?
«Dico che è accaduta una cosa grave. Stigmatizzabile. Non doveva accadere. E invece è accaduta».
Perché?
«Tre le cause, a mio avviso. Il funerale è stato celebrato in un quartiere diverso da quello di appartenza del boss. Il periodo ferragostano ha generato un allentamento delle difese immunitarie anche in campo sociale. Infine, ed è una nostra mancanza, l'apparato di sicurezza non ha saputo cogliere i giusti segnali di quel che sarebbe successo».
Roma, 9 maggio 2015. Il Prefettto di Roma Franco Gabrielli e il generale dei Carabinieri Salvatore Luongo in via Caetani durante la cerimonia per il 37° anniversario dell'uccisione di Aldo Moro, Foto Ansa. In alto: il Sindaco Ignazio Marino (a sinistra) con il Prefetto Franco Gabrielli in occasione della commemorazione dell'assassinio di Massimo D'Antona, a Roma, il 20 maggio 2015. Foto Ansa.
Alcuni testimoni affermano che prima delle esequie in zona c'erano
pattuglie della Polizia municipale e dei Carabinieri. Non si poteva
interrompere il funerale?
«Solo il Questore poteva dare prescrizioni sulla cerimonia, qualora ci fossero stati i presupposti di legge. Ma nè sul tavolo del Questore nè sul mio è arrivata nessuna
segnalazione in tempo utile. E qui sta il problema. In una società
perennemente connessa non c'è stata la necessaria tempestività di
informazione».
Da un elicottero sono stati lanciati petali di rosa...
«Era un velivolo ultraleggero. Sorvolava una zona della città non soggetta a restrizioni. Comunque sono in corso accertamenti per verificare la correttezza del sorvolo».
La gente, infine. Roma connivente?
«No. C'è stata più
amplificazione mediatica che partecipazione di popolo. Non si può
parlare di criticità del luogo. Sicilia, Calabria e Campania, terre che
conosco e amo, hanno un'altra storia in quanto a radicamento del
sistema mafioso. Storia dalla quale per altro si stanno affrancando con
intelligenza e vigore, sviluppando gli opportuni anticorpi sociali, di
legalità e anche religiosi»