«Un accordo storico, il primo documento ufficiale frutto di un’intesa bilaterale tra lo Stato italiano e le comunità islamiche presenti nel nostro Paese». Così Paolo Naso, coordinatore del Consiglio per i rapporti con l’islam, definisce il “Patto nazionale per un islam italiano” firmato al Viminale il 1° febbraio scorso. A sottoscrivere l’accordo, da una parte il ministro dell’Interno Marco Minniti, dall’altra le più importanti associazioni e comunità musulmane, come Ucoii, Coreis, Centro islamico culturale d’Italia-Grande Moschea di Roma, Confederazione islamica italiana e altri, in rappresentanza di oltre il 70 per cento dei fedeli musulmani (circa 1 milione e mezzo) che vivono nella nostra penisola.
Il testo del “Patto”, suddiviso in tre sezioni, suggella una serie di impegni che vincolano entrambe le parti, con l’obiettivo di contrastare il radicalismo islamico e favorire l’integrazione sociale di una comunità religiosa sempre più numerosa in Italia, eppure spesso vittima di pregiudizi e diffidenza. L’accordo, che il ministro Minniti ha definito «uno straordinario investimento sul futuro del nostro Paese», prevede tra l’altro che vengano resi pubblici nomi e recapiti degli imam, che i predicatori vengano debitamente formati, che i sermoni del venerdì nelle moschee siano svolti in italiano e che si crei la «massima trasparenza» nei finanziamenti ricevuti dall’Italia e dall’estero per la gestione e la costruzione dei centri di preghiera islamici.
«Il senso fondamentale del Patto», spiega il professor Naso, valdese e docente di Scienza politica alla Sapienza di Roma, «è che il fondamentalismo violento – che pure esiste – lo si può contrastare solo insieme ai musulmani, e non senza o contro di loro». La firma del documento, aggiunge Naso, «è una tappa importante, ma non certo la conclusione, di un lungo percorso cominciato vario tempo fa e che ha avuto una accelerazione negli ultimi due anni, quando l’allora ministro Alfano ha istituito non solo una Consulta per l’islam, che riunisce i rappresentanti delle associazioni e comunità musulmane, ma anche un Consiglio per i rapporti con l’islam italiano, composto da esperti chiamati a elaborare linee-guida e politiche da tenere in relazione all’islam».
Pochi mesi fa, su richiesta del ministro Minniti, alcuni testi elaborati dal Consiglio coordinato dal professor Naso sono stati fusi in un unico documento, che è sottoposto alla Consulta per l’islam e, dopo un iter di dialogo e mediazione tra le diverse anime della comunità musulmana, si è arrivati alla firma del 1° febbraio. «Questo è l’altro fatto veramente nuovo del Patto», sottolinea Naso. «In precedenza, infatti, le divisioni interne alle comunità islamiche italiane avevano impedito che si arrivasse tutti uniti a un qualunque accordo formale con le autorità italiane. Con questa firma si è compiuto un salto di qualità anche nel metodo di lavoro tra le diverse realtà associative islamiche».
Si tratta di un primo passo avanti verso la stipula di una vera e propria Intesa tra Stato e comunità islamiche? «Come ha detto anche il ministro, sicuramente è un passo importante in quella direzione», dice il coordinatore del Consiglio per i rapporti con l’islam. «Ovviamente ci sono ancora vari step istituzionali da compiere. Uno dei requisiti perché si possa stabilire una Intesa con lo Stato, ad esempio, è che l’organismo in questione abbia un riconoscimento giuridico. E al momento, tra tutte le associazioni firmatarie, soltanto il Centro islamico culturale d’Italia-Grande Moschea di Roma è riconosciuta dallo Stato. A questo punto sta anche all’islam italiano capire il modo in cui intende procedere, riflettendo anche su un nodo, cioè se arrivare a una unica Intesa tra lo Stato e tutti i diversi organismi musulmani oppure puntare a più Intese, ciascuno per conto suo, come è già successo nel caso dei buddhisti e dei pentecostali. Ma questo si vedrà con il tempo».
Guardando al panorama europeo, quali passi servono all’Italia per essere all’altezza anche giuridicamente di una società diventata sempre più multireligiosa? «Sicuramente manca ancora una legge sulla libertà religiosa, che superi la normativa attuale di epoca fascista sui “culti ammessi”», risponde Naso. «E mi pare sempre più necessaria e urgente una moderna legge sulla cittadinanza, una norma sullo ius soli magari temperata se si vuole, ma che dia finalmente dignità e accoglienza a persone cresciute nel nostro Paese e che in Italia vorrebbero integrarsi sempre di più. Perché una cosa è chiara ormai: laddove non c’è integrazione ma ghettizzazione, emarginazione e risentimento sociale, allora lì è più facile che attecchisca il radicalismo. Dove invece c’è inclusione, accoglienza, ascolto, rispetto, integrazione, crescono comunità religiose capaci di offrire contributi straordinari al consolidamento di tutta la società civile».