Esiste la necessità, la missione – usiamo questa parola, perché è una cosa bella – di mettere al mondo dei bambini. Questa espressione, sul finire dell’anno, quando si celebra comunque una nascita e ci si apre al futuro, ha scatenato polemiche furiose. Come, vogliamo spingere le nostre ragazze a dare figli alla patria? Rigurgiti neofascisti. Vogliamo appiattire la femminilità sulla maternità? Medioevo culturale.
Che quando non si sa a cosa appellarsi, questo marchio infamante pare funzionare, dimenticando che il medioevo culturale ci ha dato Dante e Giotto, per dire, e ospedali, misericordie, banche e badesse che facevano inginocchiare i principi. Ma ci sta più a cuore parlare di madri, e di figli. Viviamo nel Paese col tasso di natalità più basso al mondo. Sarebbe tragico non solo per il baratro economico in cui piomberemo, i nostri vecchi e noi.
Sarebbe l’estinguersi, stanco e malato, di un popolo. Lo Stato non aiuta le donne. Vero, una mamma su cinque lascia il lavoro al primo figlio, siamo il fanalino di coda in Europa per tasso di occupazione femminile. Dunque avremmo dovuto assistere a un plauso e consenso unanime sul quoziente familiare, su ogni sostegno alle famiglie, e alle mamme. Invece famiglia è una parola che non piace, mamma pare una riduzione dell’essere donna, e commiserante o sprezzante il giudizio su chi si ostini a credere che un figlio è, anche, la pienezza dell’essere, la realizzazione bella della speranza e della fiducia.
Nessuna concezione solo biologica della donna. Ma non possiamo continuare a piegare la natura (su cui sono nati e basati i diritti) negando le differenze, che si basano soprattutto su questo, sulla possibilità per una donna di essere madre. Madre biologica, e madre di cura, di adozione, di accoglienza di affido, madre spirituale, madre educante. Non sono funzioni che impediscono l’affermazione lavorativa, che frenano una carriera, e la parità. Sono impronta indelebile dell’essere, e non si è felici cancellando se stessi, oscurando una parte di sé. Ogni impegno dello Stato e del Terzo settore deve assicurare alle donne che vogliono essere madri rispetto sul lavoro, orari flessibili, congedi adeguati, contributi economici, asili nido. Ma non servirà a nulla, se non modificheremo lo sguardo alla nostra vita e all’uomo.
Questo è il cambiamento culturale necessario, urgente, per noi e per l’Italia. Quando il Papa chiede più culle e meno cucce, fotografa duramente una realtà immobile, ripiegata su se stessa, l’assenza di baldanza e slancio verso il futuro, egoismo, rassegnazione. Sarà da vecchi, ma è un dato che le nostre nonne hanno vissuto due guerre, e la miseria quotidiana, senza smettere di credere alla loro eredità.
Tutte stupide, tutte sottomesse? Siamo quello che siamo grazie a loro, al loro sacrificio e coraggio. Non bisogna essere eroine per forza. Bisogna essere comprese e aiutate nella normalità. Ma dire a una ragazza: invece di un figlio comprati un cane, invece di un figlio insegui una posizione sociale, prova ogni esperienza, siamo sicuri che sia un invito a godersela, la vita? E se ne può almeno parlare? Direbbe il buon Manzoni, «il buon senso c’è, ma se ne sta nascosto per paura del senso comune».