La preghiera come una medicina, un balsamo del corpo e dello spirito. La scienza ha largamente dimostrato che la pratica religiosa
può influire sullo stato di salute, facendo ammalare meno
e guarire prima: fra i primi studiosi ad averne parlato c’è
l’americano Herbert Benson, cardiologo dell’Università di Harvard,
che, sin dagli anni Settanta del secolo scorso, ha ipotizzato per la
preghiera la stessa azione biochimica prodotta dal rilassamento, capace
di abbassare la pressione sanguigna, ridurre il ritmo cardiaco e allentare
la tensione muscolare.
partite dal “g Tum-mo”, una pratica
yoga che – grazie a una speciale respirazione
meditativa – consente ai monaci
buddisti di resistere alle temperature
estreme dell’Himalaya e addirittura
asciugare lenzuola bagnate avvolte intorno
ai corpi nudi, grazie alla loro misteriosa
capacità di sviluppare un elevato
calore interno.
«La meraviglia delle ricerche internazionali
infatti è quella di aver mostrato
come gli effetti della preghiera
vadano al di là della singola religione
o del fatto di credere o meno in Dio»,
spiega la dottoressa Monica Urru, medico,
psicoterapeuta, specializzata nel
trattamento degli psicotraumi in adulti
e adolescenti, che ha trattato il tema
nell’ambito del VI Congresso nazionale
Simben (Società italiana di medicina
del benessere), organizzato lo scorso
ottobre a Roma in collaborazione con
l’Aime (Associazione italiana di medicina
estetica) e coordinato dal professor
Pier Michele Mandrillo.
«Non a caso, a partire dal 1992, il
neuroscienziato Andrew Newberg ha
provato a verificare che cosa accadesse
nel cervello di persone appartenenti
a fedi diverse, dai monaci tibetani alle
monache francescane, chiedendo loro
di utilizzare le rispettive meditazioni
o forme di preghiera durante l’esperimento
», afferma l’esperta.
I vari soggetti dovevano tirare una
cordicella non appena avessero provato
la sensazione di cadere in estasi
o essere connessi con il loro senso del
divino, avviando così una risonanza
magnetica funzionale del cervello, un
esame che permette di mappare quali
aree cerebrali si attivano quando pensiamo
o facciamo qualcosa. Pioniere
della cosiddetta neuroteologia, Newberg
si è accorto che quelle aree sono
sempre le stesse – indipendentemente
dalla confessione religiosa – e i suoi
studi sono stati avvalorati negli anni
successivi da esami ancora più precisi,
come la tomograa computerizzata a
emissione di fotoni singoli (Spect), molto
più sensibile rispetto ad altre prove
strumentali.
Che cosa accade?
Nel concreto, durante un’esperienza
spirituale (intesa come preghiera solitaria
o collettiva, meditazione, lettura
di testi sacri o partecipazione a un
rito religioso), il cervello “spegne” gli
stimoli sensoriali che normalmente
attingono informazioni dall’ambiente
esterno, come luce, rumori e odori,
permettendo di concentrarsi sulla propria
interiorità.
«I moderni esami diagnostici consentono
di visualizzare le aree cerebrali
coinvolte in questo meccanismo», riferisce
la dottoressa Urru. «Oltre ad aumentare
l’attività della corteccia prefrontale,
cioè la parte anteriore del
lobo frontale che governa le emozioni,
si mettono maggiormente in moto il nucleo
caudato, l’insula e il giro del cingolo,
tre centri implicati nella percezione
della nostra unità con il tutto, oltre
che importanti per memoria, apprendimento
e innamoramento».
Si tratta delle stesse aree coinvolte
di fronte a un’opera artistica o uno
scenario naturale, come se fra i neuroni
esistesse una predisposizione all’armonia
universale. I risultati sono fisici, ma non solo: la preghiera infatti
attiva la funzione parasimpatica, riducendo
frequenza cardiaca e pressione
sanguigna, rafforzando la risposta immunitaria
e abbassando i livelli ematici
di cortisolo (l’ormone dello stress), ma
favorisce anche la percezione che le cose
abbiano un senso unitario, in un’ottica
di trascendenza e infinito che – oltre
a rappresentare il cuore spirituale
dell’esperienza religiosa – è resa pos-sibile dalla struttura stessa del nostro
cervello. Per chi crede, rappresenta la
scoperta di Dio nel profondo della nostra
mente.
«I benefici sembrano maggiori in chi
prega tutti i giorni, perché i vari meccanismi
avvengono in tempi più brevi:
ecco perché molti studiosi, come Norman
Doidge e Timothy R. Jennings,
hanno parlato di un cervello modellato
dal divino, come se l’attitudine a un
uso rituale della preghiera ne accelerasse
gli effetti sull’organismo», commenta
Urru. «Quello verso Dio è una
sorta di sesto senso, da aggiungere agli
altri cinque e allenare nel tempo, per
non cadere nell’errore di interpretare
la preghiera come una formula miracolosa,
da usare quasi a comando».
Lotta alla depressione
Fra gli effetti tangibili della preghiera
c’è poi l’aumento dei livelli di serotonina
nel sangue, il trasmettitore responsabile
nella regolamentazione di
una vasta gamma di funzioni cerebrali
e correlato ai disturbi dell’umore. Maggiori
valori aiutano a gestire meglio
la propria emotività, contrastando
ansia, depressione, insonnia, impulsività
e stress, ma anche ad assicurare
una migliore salute in generale, lottando
contro aterosclerosi, colesterolo,
diabete e invecchiamento.
«Più ci connettiamo con la natura
e con il Tutto, più il nostro organismo
affina la sua capacità di auto-cura:
senza che ce ne rendiamo conto, noi
guariamo ogni giorno da varie patologie,
anche gravi come i tumori, grazie
a mutamenti chimici di cui la medicina
moderna deve tenere conto, alla pari
di alimentazione e stile di vita», si dice
convinta la psicoterapeuta.
In fondo, una particolare branca della
biologia molecolare, l’epigenetica,
ha demolito la vecchia idea delle malattie
come fenomeni involontari, dovuti
unicamente a eredità genetica, cattiva
sorte o piani imperscrutabili di Dio,
dimostrando come i pensieri ripetuti
nel tempo e i sentimenti che custodiamo
nel cuore possano alterare la salute.
Come? Stimolando la produzione di
proteine nell’organismo, capaci di modi
ficare il Dna.
«Questo può determinare o al contrario
curare le malattie, che in definitiva sono fissazioni dell’anima: in altre
parole, ogni patologia organica è in
qualche modo determinata dalle nostre
convinzioni nei confronti del mondo,
da idee e pregiudizi con cui cresciamo
sin da piccoli. La maggiore flessibilità
verso le circostanze della vita aiuta
l’organismo a sfoderare risorse preziose
nella lotta alle malattie, attivando un
vero e proprio processo di guarigione
a livello psico-neuro-endocrino, che al
contrario resta bloccato se ci atteggiamo
con rigidità verso ciò che accade».
Già Aristotele sosteneva che il medico
dovesse limitarsi ad accompagnare
la natura nel processo di cura, perché
l’unico vero strumento di risanamento
è la fiducia (o fides, fede) nell’esistenza
di un piano superiore per ciascuno
di noi. Anche perché affinando il senso
del divino si rafforza la responsabilità
verso se stessi, correggendo stile di
vita, alimentazione e cattive abitudini
che possono aver innescato la miccia
nel corpo. In questo senso, una serena
condizione dell’animo è la strada privilegiata
per raggiungere il benessere psico
fisico e la conseguente longevità.
Una ricerca inglese del Christian
Medical Fellowship (un ente che riunisce
medici, ricercatori e studenti
di medicina) ha addirittura dimostrato
che i credenti e praticanti religiosi possono
vivere quattordici anni in più rispetto
agli altri.
Vero o no, di certo gli studi di Newberg
avevano già dimostrato che – dopo
appena otto settimane di preghiera
– aumentano le sequenze genetiche benefiche, che rafforzando l’efficienza dei
mitocondri riducono la produzione di
radicali liberi, responsabili dei processi
di invecchiamento e usura. «Sull’onda
dell’entusiasmo, è importante distinguere
la preghiera cristiana da altre
tecniche meditative, spesso provenienti
dall’estremo Oriente, in quanto nella
nostra tradizione viene promosso un incontro
con Dio oltre all’interiorizzazione
della persona», riflette don Stefano
Tarocchi, docente di Sacra Scrittura e
preside della Facoltà teologica dell’Italia
centrale a Firenze. «Pregare non è un
rito magico, ma assume forza dalla nostra
fede, e non va confuso con il normale
rilassamento che possiamo sperimentare
in palestra, seppure gli effetti
fisiologici possano in parte sovrapporsi
». Una grande differenza? Molte tecniche
laiche di interiorizzazione della coscienza
utilizzano dei mantra, parole o
frasi da ripetere più volte (ad alta voce o
in silenzio) per ottenere un determinato
effetto. Celebre è l’Om (o Aum) dello yoga,
considerato il suono primordiale da
cui ha avuto origine la Creazione, usato
negli esercizi di meditazione profonda
per mettersi in sintonia con la vibrazione
originale dell’universo.
Per certi versi, anche le religioni hanno
giaculatorie da ripetere, come La
ilaha illaAllah dell’Islam o Namo Amida’n
Bu del buddismo. Il cristianesimo
sfrutta il rosario, dove si ripetono i nomi
sacri di Gesù e Maria, o la famosa preghiera
del cuore («Signore Gesù Cristo,
Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore
»), una tradizione antica che attinge
agli insegnamenti dei padri del deserto,
monaci, eremiti e anacoreti che nel
IV secolo abbandonarono le città per vivere
in solitudine e ascesi nei deserti di
Egitto, terra di Israele e Siria.
Il modello cristiano
«Ma la preghiera fondamentale del
mondo cristiano è il Padre Nostro, insegnato
da Gesù ai discepoli (Luca, 11,1
e Matteo, 6,9), che nel suo significato di
lode, benedizione e adorazione instaura
un rapporto con Dio da coltivare in modo
costante e significativo», rimarca don
Tarocchi.
Il capitolo 18 del Vangelo di Luca comincia
così: «Disse loro una parabola
sulla necessità di pregare sempre, senza
stancarsi». Anche quando non sortisce
alcun risultato, la preghiera deve essere
coltivata con perseveranza, senza la volontà
di forzare la mano di Dio, dettata
da un atto d’amore indipendente dalla
risposta. «Nessuno merita di ammalarsi
e nessun disegno divino lo prevede, ma
le malattie rientrano nella condizione di
fragilità umana e devono essere accettate
», conclude don Tarocchi. «La preghiera
può aiutarci ad acquisire la giusta
forza interiore, ma anche a guarire:
non stanchiamoci di chiedere quel che
desideriamo. Al cieco di Gerico, Gesù ha
domandato: “Che vuoi che io faccia per
te”? Ciò significa che la preghiera deve
essere semplice, chiara e precisa. Anche
se il Signore conosce i nostri bisogni,
vuole ascoltarli dalla nostra voce per poterli
esaudire».