Dopo gli alunni di seconda e quinta elementare, dopo quelli
di prima media e di seconda superiore, oggi 17 giugno tocca ai circa 600
mila studenti di terza media sottoporsi alle prove Invalsi, questa
volta all’interno dell’esame di licenza (il punteggio dei test andrà a
determinare per un sesto il voto d’esame).
Le prove
Invalsi sono test introdotti per la prima volta nel 2008 (inizialmente in via sperimentale) dall’
Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione (da cui l’acronimo) nelle discipline Italiano e Matematica.
Dal prossimo anno scolastico i test Invalsi verranno proposti anche
all’ultimo anno della scuola superiore: non sembra però, come qualcuno
inizialmente aveva ventilato, all’interno dell’esame di maturità (al
posto della cosiddetta “terza prova”, finora approntata dalle singole
commissioni), analogamente a quanto avviene per l’esame di licenza
media. Le prove saranno invece somministrate in un momento a sé stante.
Il significato di uno strumento
Le prove Invalsi hanno lo scopo di porre a confronto i risultati
raggiunti dalle diverse scuole (e all’interno degli istituti, dalle
singole classi) quanto ai livelli di apprendimento. Lo scopo è quello di
monitorare l’efficacia del sistema formativo e di apportarvi, se e
quando necessario, i dovuti correttivi.
L’effetto di tale sistema di valutazione è anche quello di garantire,
nel medio e lungo periodo, un minimo comun denominatore per quanto
riguarda le scelte didattiche dei singoli docenti. Forse pochi forse lo
sanno, ma da alcuni anni non esistono più i vecchi “programmi
ministeriali”.
Nella scuola dell’autonomia ogni docente presenta a inizio anno una
propria “programmazione disciplinare”, che deve però tenere conto delle
“Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di
apprendimento”. Un documento nel quale sono stati fissati alcuni
doverosi paletti. Paletti che uno strumento come le prove Invalsi può
aiutare a verificare che vengano rispettati da tutti.
Proteste e perplessità
Sono note, tuttavia, le perplessità di molti insegnanti e pedagogisti in
merito allo strumento di queste prove “strutturate”, considerate troppo
rigide e asettiche, e dunque incapaci di valutare, ad esempio, fantasia
e creatività, oltre a essere spesso incongruenti con la specificità dei
diversi approcci didattici.
Ciò sfocerebbe in una limitazione della libertà di insegnamento,
spingendo inoltre la scuola italiana verso la deriva di ciò che gli
anglosassoni chiamano il
“teaching to test”: il paradosso per
cui si riorganizza l’insegnamento in funzione di una valutazione imposta
dall’alto, e non si pensa quest’ultima quale momento conclusivo
conseguente all’azione didattica: uno strano ribaltamento della normale
consequenzialità.