Cari amici lettori, ci sono a volte fatti di cronaca “spicciola” – quasi invisibili, perché non riguardano persone famose – ma capaci di interpellarci con la forza che ha l’ordinarietà. Mi riferisco alla storia di Francesco Bernetti Evangelista, un chirurgo in pensione ma ancora attivo, al Pronto soccorso di Fermo, nelle Marche. Ecco il fatto: dopo aver dimesso dal pronto soccorso una paziente 15enne, arrivata con febbre alta e insensibilità agli arti, il medico è colto dal dubbio che possa trattarsi di qualcosa di più grave che non era stato verificato fino in fondo. Perciò, finito il suo turno, decide di presentarsi a casa della famiglia della
ragazza, raccomandando di portarla all’ospedale, in neurologia. Sospetto giusto, perché si trattava di un’infiammazione midollare, con il rischio per la giovane di perdere l’uso degli arti. Il medico, con modestia, non ha voluto rilasciare interviste «su un caso per me normale». Ha ritenuto semplicemente di aver fatto il suo dovere. Ma a pensarci bene, si tratta di qualcosa di più. Difficile definirlo: un di più di scrupolo, di senso del dovere, di umanità? Forse tutte queste cose, e altre, insieme. Fatto sta che l’atteggiamento del medico – che sia credente o meno qui non importa – mi ha ricordato un “di più” di cui parla il Vangelo, pur usando
altri termini. «Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Matteo 5,20). Volendo tradurre la frase in un linguaggio comprensibile oggi: se non fate un “di più” rispetto al minimo richiesto dalle regole… non siete nella logica del regno di Dio.
Spesso ci limitiamo a una spiritualità del “minimo sindacale”, per mille ragioni e autogiustificazioni, preoccupati magari di non “fare peccati”, ma poco ci chiediamo dove “investire” positivamente le nostre energie: l’invito di Gesù è a mettere in gioco la libertà, il cuore, la mente, la volontà, andando un po’ oltre a ciò che è “strettamente dovuto”. A essere onesti, infatti, vediamo che tante cose nella vita familiare e sociale “funzionano” nonostante tutto proprio perché c’è chi non calcola, non pesa il dovere e va oltre: penso alle tante forme di volontariato che coprono “falle” sociali, ma anche ai tanti papà e mamme, insegnanti, tante persone di ogni ambito, che si prendono a cuore persone e situazioni in misura davvero
“sovrabbondante”. Avvicinandoci alla Settimana Santa, ascolteremo dai Vangeli diverse storie di fallimento: Pietro, Giuda, i discepoli in fuga… Su questo sfondo ambiguo di fragilità e peccato, in cui ci siamo anche noi, contempleremo quel “di più” assoluto consegnatoci dal Signore Gesù nel sigillare la sua esistenza vissuta pergli altri: «Sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Giovanni 13,1). In un’atmosfera culturale dove per lo più ci aggrappiamo con tutte le forze all’autoconservazione e al nostro benessere individuale, si tratta di un gesto unico, decisamente provocatorio. Forse anche noi, come Pietro, dovremmo avere l’umiltà di lasciarci
lavare i piedi da Gesù per avere parte con Lui (Giovanni 13,8).