Il cardinale Gianfranco Ravasi presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Cultura
È un’esperienza di “culle piene, asili e seminari colmi di bambini e ragazzi” quella del cardinale Gianfranco Ravasi presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Cultura. E ha deciso di condividerla aprendo il convegno organizzato dal Cortile dei Gentili a Palazzo Borromeo nella sede dell’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede a Roma dedicato a Denatalità e cultura della generatività contro l’inverno demografico. Essì che «lo scrittore George Bernard Shaw» cita il cardinale Ravasi «scriveva che la vita è una fiamma che via via si consuma ma che riprende fuoco ogni volta che nasce un bambino. Permettendo alla vita di continuare a fiammeggiare». Ecco allora che si rivolge alla Bibbia «Lampada per i passi del cammino della propria vita e di quella anche dei non credenti. Sapete qual è la parola che risuona di più nell’Antico Testamento dopo Dio? 6200 volte Dio, 5000 circa ben che vuol dire figlio e che è di grande suggestione perché basata su una radice che vuol dire costruire. Sono i figli che tengono idealmente l’architettura della nostra esistenza».
Eppure il documento del Cortile dei Gentili ci racconta tutt’altro. «Abbiamo il tasso di nascita più basso dal 1961» afferma la professoressa Emma Fattorini, della consulta scientifica del Cortile dei Gentili. « Tra sessant’anni la previsione è di passare da 60 a 39 milioni di persone. Per invertire la rotta ogni donna dovrebbe fare 2,1 figlio di media. Ma non c’è una risposta solo e univoca al crollo delle nascite». Che fare allora? «L’Europa ha scelto due strade: una più emergenziale “remunerando” la procreazione con uno stile tipico dell’Ungheria e dei paesi slavi; e, due, legata a interventi più strutturali, come in Francia e in Germania, valorizzando un welfare di cura. L’Italia si colloca a metà strada. Col governo Draghi e il Family act più in linea con la versione strutturale». Cosa serve? «Incrementare l’impiego femminile perché il secondo stipendio porta il secondo figlio con incentivi ad hoc delle aziende. Aumentare i servizi, in primis i nidi, che devono essere gratuiti e luoghi di crescita. Servono congedi parentali per i padri come investimento per accudire il figlio in primissima età. È fondamentale l’assegno unico che accorpa una serie di interventi, è strutturale e valorizza il figlio come bene della società. Un aiuto, tra l’altro, che inizia dal settimo mese di gravidanza. Infine, va ripensata la cura. Va favorita la corresponsabilità di entrambi genitori perché sia sempre meno peso rispetto alle cose che contano davvero. Cura come realizzazione di senso, non spia di una crescente fatica nelle relazioni. Procreare non deve essere più vissuto come una mortificazione».
Un momento della tavola rotonda del Cortile dei Gentili a Roma
Perché ciò accada, ovviamente, bisogna lavorare su ragioni profonde. Lo spiega bene Alessandro Rosina, sociologo dell’Università Cattolica e direttore scientifico del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo. «Avere figli non è più una convenzione sociale ma una scelta. Se un ragazzo decide di non averne oggi nessuno si stupisce. Ecco perché bisogna tornare a dare senso a quella scelta e renderla appetibile. Deve tornare ad avere un valore collettivo e sociale che sembra essere debole e carente perché l’aiuto dato a chi sceglie è debole e carente rendendo la vita difficile a chi ha figli». Essì che il Rapporto Giovani dice anche una cosa di segno opposto: «la maggior parte dei ragazzi considera l’avere figli una scelta importante che fa la differenza per aver la vita piena e il num desiderato è sempre attorno a due. Quindi c’è un terreno fertile su cui lavorare, ma va aiutato a dare i suoi migliori frutti». In un mondo complesso e carente di interventi i ragazzi hanno trovato due strategie: «postiticipare, rinviando la scelta in attesa del momento di poterla fare; ed ecco che oltre al più basso livello di fecondità in Italia abbiamo anche l’età di concepimento più tardiva; e le scelte reversibili, ovvero fare tutte quelle da cui si può tornare indietro (finisco di studiare e ricomincio a studiare, lavoro ma smetto di lavorare, esco di casa dei miei genitori ma posso rientrare, mi sposo va male mi lascio e mi risposo). Solo avere figli è una scelta irreversibile ed ecco perché sono diventati ipercauti prima di averne». Che fare? «Il Governo può intervenire sostenendo la scelta con politiche mirate. È poi fondamentale il tema della cura che ti aiuta a guardare oltre a te stesso, come avere figli che ti costringe ad andare oltre te stesso e ad andare oltre al presente. Una scelta centrale per sognare la società di domani e il nostro futuro dove i figli sono un bene collettivo».
Scelte reversibile o irreversibili, un po’ come parlare di «legami che si scelgono e che sono anche quelli che si sciolgono; legami che non si scelgono e non si sciolgono. Genare i figli è tanto più necessario in una società in cui anche le relazioni sono sempre più “ats”» provoca il professor Eugenio Mazzarella, sempre del Comitato scientifico. «Ovvero, associazioni temporanee di scopo. Il figlio, invece, è un filo verticale di stabilità nella società oltre che orizzontale perché mantiene le relazioni anche in famiglia (se c’è un figlio ci pensi due volte prima di sciogliere i legami)». Complice di questa trasformazione dei rapporti anche la pandemia: «e le condizioni socioeconomiche, ma prima di tutto lo stile di vita oggi più che mai autocentrato. Per un terzo dei giovani la vita finisce con se stessi. Oltre alla deprivazione nella vita onlife della relazione in presenza. Ecco allora una sollecitazione a essere creativi nel rapporto, a non virtualizzare, a riportare l’incontro dei corpi a una generatività che non si riduca al consumo degli stessi fine a se stesso. La movida è sua volta il modello di una vita che va di qua e di là, consumandosi nel presente». Ma c’è una risorsa: «il punto di resistenza che risiede nel capitale emotivo e relazionale della voce del sangue. Un figlio è un pezzo di cuore, un rapporto viscerale più forte di ogni legame associativo. Dovremmo tornare a vedere la bellezza della voce del sangue».
Giuliano Amato, 84 anni, presidente del Cortile dei Gentili
Propositivo e speranzoso anche Giuliano Amato, presidente della Fondazione Cortile dei Gentili «non vi scoraggiate! Sembra peggio di come finirà per essere». Amato è convinto che «nei prossimi anni fronteggiare il cambiamento climatico diventerà un’emergenza sempre più percepita in ragione delle condizioni climatiche sempre più difficili e, pur nella sventura, diventerà una sferza salutare per risospingere verso l’assunzione di responsabilità tutti. La sostenibilità ambientale diventerà una specie di faro verso l’assunzione di responsabilità, darsi un ruolo perché sennò rischio di “finire" anch’io. Più si avanti più quel rischio finale sarà avvertito come proprio e non delle future generazioni». Amato che, dall’alto dei suoi 84 anni, ha messo in campo anche la sua vita personale per dare fiducia davanti a previsioni catastrofiche: «io e mia moglie la scelta dei figli l’abbiamo agganciata alla creatività. Abbiamo oltre 70 anni di vita comune, ci siamo conosciuti in quarta ginnasio e in quinta eravamo già coppia. Ci siamo sposati giovani convinti di bastare a noi stessi. Ci piaceva di più andare in giro, incontrare gli altri. Dopo cinque anni ci pareva che quella vita fosse vuota “che senso ha stare insieme senza avere figli, senza portare la creatività che abbiamo dentro su creature che portino in loro qualcosa di noi?”. Abbiamo attrezzato la stanza dei bambini tappezzandola di piccoli di tutte le etnie e colori perché capissero che siamo un’unica famiglia. Ecco perché è mia personale convinzione che se c’è qualcosa di creativo non risiede solo nel disegnare una casa, un software o un abito ma nel figlio che ha in sé una traccia di noi». E ha concluso con una provocazione: «serve un grande sforzo culturale di tutti senza colore politico perché torniamo a lanciare noi stessi nel futuro attraverso i figli soprattutto se abbiamo a cuore il futuro dell’umanità in questo mondo. Anche perché, senza figli e nipoti, che fine faremo noi vecchi?».