di Matteo Menegol
Passato, presente e futuro. Difficile coniugare questi tre elementi temporali in sole 200 pagine, escludendo la straordinaria prefazione di monsignor Vincenzo Paglia. Ebbene, nel caso di Giorgio Merlo si potrebbe dire: missione compiuta. Nel suo ultimo saggio, La sinistra sociale, edito da Marcianum press, l’ex parlamentare offre diversi spunti di riflessione su un’area politico-culturale che ha saputo incidere nel profondo della vita pubblica, riuscendo nell’impresa di non farsi risucchiare dal vortice delle correnti della Democrazia Cristiana e guadagnandosi così un posto nella storia che, oggi, fanno guardare a essa con profonda nostalgia, fomentando il desiderio, figlio dell’esigenza, di ricreare e occupare quello spazio politico.
Partendo dalle esperienze di due esponenti di spicco, quali Carlo Donat-Cattin e Franco Marini, Merlo ripercorre il ruolo che la sinistra sociale ebbe nell’agglomerato correntizio che un tempo popolò la cosiddetta “balena bianca”, garantendole una stabilità messa a disposizione del Paese dall’immediato dopoguerra sino ai primi anni Novanta. Poi arrivò Tangentopoli, l’inchiesta che travolse l’intero sistema politico di cui la DC per cinquant’anni ininterrotti fu il perno, spazzando via a suon di avvisi di garanzia e ordinanze di custodia cautelare un’intera classe dirigente. Da qui, il baratro. La fine di tante carriere, ma soprattutto di una certa idea di politica, alta, nobile, che sapeva mettere al centro, ispirata dai valori cattolici, il bene comune. Perché come ricorda monsignor Paglia nella prefazione, «il cristianesimo è per sua natura sociale. E di conseguenza debbono esserlo i cristiani anche nell’impegno politico».
E arriviamo alla seconda parte del libro, quella sull’oggi. La più avvilente, forse, ma certamente veritiera, in cui Merlo tratteggia un panorama politico desolante all’interno del quale, prim’ancora delle correnti e delle idee, si è smarrita l’essenza dell’impegno verso la cosa pubblica. L’«io» che prevale sul «noi». Partiti personali, che difficilmente sopravvivranno ai propri leader. Partiti post-ideologici, ridotti a meri cartelli elettorali che null’altro sanno proporre se non la denuncia di quel che non va. E infine la critica, che è più una presa d’atto, del fallimento di ogni tentativo di unire la cultura cattolico-democratica ad altre correnti che hanno finito per annacquare ogni elemento del cattolicesimo sociale di cui Donat-Cattin e Marini sono stati gli alfieri.
Ma è proprio da questo abisso in cui è sprofondata la politica che Merlo individua una via d’uscita per il domani, complice anche la grande emergenza sociale che attanaglia il Paese. Una soluzione certamente facile sul piano comunicativo, ma che porta con sé tutte le difficoltà dal lato pratico, a cominciare dalla costituzione di un soggetto politico federatore per occupare uno spazio ora affollato e ora no. Perché troppe volte il cosiddetto centrismo è apparso ai più come sinonimo di neutralità. Ripartire, dunque, da quello schieramento, mantenendo il tripolarismo vigente e ripristinando le categorie da cui, un po’ per convenienza e un po’ per ignoranza, i partiti hanno sempre preferito prendere le distanze: destra, sinistra e centro. Impegnarsi a valorizzare l’identità culturale dei ceti popolari, senza che quest’attenzione sfoci in becero populismo, e garantire una sempre più concreta integrazione europea, unico strumento possibile per un futuro di pace e progresso. Sono questi, in sintesi, gli ingredienti che Giorgio Merlo suggerisce, esortando ciascuno a fare la propria parte, per costruire una valida alternativa in quello che, forse, specie in vista delle prossime elezioni europee, potrebbe rivelarsi un autentico manifesto a cui ispirarsi perché in Italia il vento del cristianesimo gonfi le vele di una stagione politica.
Nella foto di copertina, Franco Marini e Carlo Donat Cattin