Bene o male, purché se ne parli. Achille Lauro l’ha capito perfettamente. Nulla di nuovo sotto il sole. A Sanremo, si sa, anche uno spiffero diventa uragano. Da quando all’Ariston il gran cerimoniere è il bravissimo Amadeus, Achille – chissà perché – non è mai mancato. In gara nel 2019, con il brano Rolls Royce accusato da Striscia la notizia di essere uno spot neanche tanto sibillino a favore delle droghe. Come superospite l’anno scorso. Di nuovo in gara quest’anno con un brano, Domenica, accompagnato dall’Harlem Gospel Choir di New York e piuttosto banalotto, se si legge con attenzione il testo. Insomma, se presenta Amadeus c’è anche lui (un po’ come Fiorello).
Martedì sera, atto primo del Sanremone, è il primo cantante ad aprire la gara. Look sobrio, si fa per dire, pantaloni di pelle nera, torso nudo tatuato, piedi scalzi. «Il Billy Idol de noantri», ha scritto qualcuno. Alla fine del brano, in ginocchio al centro del palco, afferra una conchiglia e si autobattezza. È solo l’ultimo gesto che ammicca alla religione. In Rolls Royce finiva così: «Dio, ti prego, salvaci da questi giorni / Tieni da parte un posto e segnati 'sti nomi». Citazione del brano del Vangelo di Luca quando uno dei due malfattori condannati alla morte in Croce si rivolge a Gesù con un’accorata richiesta di perdono e di misericordia: «Ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno. E Gesù gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”».
Il gesto del battesimo posticcio, diciamolo subito, è molto fastidioso per la sensibilità dei credenti. L’arcivescovo di Sanremo, monsignor Antonio Suetta, ha mandato alle agenzie un comunicato di fuoco: «Una triste apertura del Festival ha purtroppo confermato la brutta piega, che, ormai da tempo, ha preso questo evento canoro e, in generale, il mondo dello spettacolo, servizio pubblico compreso», si legge, «la penosa esibizione del primo cantante ancora una volta ha deriso e profanato i segni sacri della fede cattolica evocando il gesto del Battesimo in un contesto insulso e dissacrante. Il brano presentato, già nel titolo – Domenica – e nel contesto di un coro gospel, alludeva al giorno del Signore, celebrato dai cristiani come giorno della fede e della risurrezione, collocandolo in un ambiente di parole, di atteggiamento e di gesti, non soltanto offensivi per la religione, ma prima ancora per la dignità dell’uomo». Suetta scrive anche che era «indeciso se intervenire o meno, dapprima ho pensato che fosse conveniente non dare ulteriore evidenza a tanto indecoroso scempio, ma poi ho ritenuto che sia più necessario dare voce a tante persone credenti, umili e buone, offese nei valori più cari per protestare contro attacchi continui e ignobili alla fede; ho ritenuto doveroso denunciare ancora una volta come il servizio pubblico non possa e non debba permette situazioni del genere, sperando ancora che, a livello istituzionale, qualcuno intervenga; ho ritenuto affermare con chiarezza che non ci si può dichiarare cattolici credenti e poi avvallare ed organizzare simili esibizioni».
Per il vescovo quello di Achille Lauro è «un raglio d’asino che non sale al cielo». Il cardinale Ravasi (che tifa per Massimo Ranieri, in gara con Lettera di là dal mare), presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, grande appassionato del Festival ed esploratore attento dei nuovi linguaggi anche musicali, ha subito colto l’assist di Lauro per offrire una piccola catechesi sul più importante dei sacramenti cristiani rilanciando una citazione di San Gregorio Nazianzeno in nove tweet: «II Battesimo è il più bello e magnifico dei doni di Dio. Lo chiamiamo dono, grazia, unzione, illuminazione, veste d'immortalità, lavacro di rigenerazione, sigillo, e tutto ciò che vi è di più prezioso. Dono, poiché è dato a coloro che non portano nulla; grazia, perché viene elargito anche ai colpevoli; Battesimo, perché il peccato viene seppellito nell'acqua; unzione, perché è sacro e regale (tali sono coloro che vengono unti); illuminazione, perché è luce sfolgorante; veste, perché copre la nostra vergogna lavacro, perché ci lava; sigillo, perché ci custodisce ed è il segno della signoria di Dio».
Don Carmelo La Magra, ex parroco di Lampedusa, e attualmente sacerdote a Racalmuto, ha commentato su Twitter: «Ma è possibile che tutta la cattolicità vi viene fuori quando canta Achille Lauro Scandalizzatevi per altro e fatevela una risata ogni tanto!». Un altro sacerdote e scrittore, don Pino Pirri, sempre su Twitter la butta sull’ironia: «Achille Lauro ha cominciato col battesimo. Entro sabato farà pure la cresima?».
Più furbizia che estro
Al di là delle polemiche, i riferimenti religiosi sono una costante del cantante. A proposito dell’album Lauro, uscito l’anno scorso, e nel quale cita ripetutamente Dio, ha detto a FQ Magazine: «Io sono profondamente credente, ma in qualcosa di forse non ordinario, che riguarda il destino, il fato, un qualcosa di ultraterreno». E spiegando l’uso, anzi l’abuso e non di rado la strumentalizzazione, dell’iconografia religiosa da lui adoperata, aveva detto: «Ognuno dà al proprio dio una veste diversa, e mi riferisco alla nostra generazione. Io lo cito spesso. Come potrei non essere credente in qualcosa di superiore! Per quanto pensi che ognuno sia abbastanza artefice del proprio destino, credo che ci sia sempre una mano a vegliare su di noi».
Quando qualcuno gli ha fatto notare che Domenica sembra la cover di Rolls Royce, lui ha glissato: «Più che di somiglianze parlerei di una mia identità che mi piace mantenere anche se sono anni che cerco di distruggere la mia carriera, ma ancora non ci sono riuscito. Sono divisivo e credo che questa sia la mia forza».
Più furbo che estroso, insomma. L’anno scorso, quando era superospite a Sanremo, si vestì da San Francesco e poi da Giovanna d’Arco. Il solito Fiorello lo prese in giro, duetto con luì alla penultima serata e fornì al Nostro quello che gli manca: l’ironia. Tanto che alla fine Fiorello non si schiodava più dal palco: «Non posso muovermi, sono un olio, un quadro di Lauro», e lo portarono via a braccia.
Achille Lauro ha capito benissimo che durante il Festival, tutti, ma proprio tutti, dicono la loro: quelli che lo guardano, quelli che lo odiano (e che comunque vogliono farcelo sapere), e quegli altri, quelli che fanno solo finta di non seguirlo ma poi si barricano sul divano fino alle due del mattino.
Quanto all’aspetto artistico, il talento c’è ma forse mancano le idee. E senza queste, tra una canzone bruttarella e un travestimento, non si va molto lontano. Interrogato al proposito, Renato Zero qualche tempo fa aveva detto: «Io non facevo il clown, cantavo il disagio della periferia, le difficoltà della gente di borgata». Ecco, appunto.