L’ha dedicata ai medici, ai sacerdoti, agli infermieri morti a servizio degli ammalati. La messa di questa mattina, che il Papa celebra senza fedeli a Santa Marta, ma con il popolo di Dio sintonizzato via web e attraverso la tv, è per pregare per quanti «sono venuti a mancare», per il loro «esempio di eroicità che ci danno nel curare gli ammalati». Lunedì 23 i dati dicevano di 23 medici morti, 50 sacerdoti e tante infermiere infettate. «Hanno preso il male perché erano a servizio degli ammalati», ha sottolineato il Pontefice.
E poi ha parlato, nell’omelia , proprio della guarigione di un ammalato. Gesù è presso la piscina di Betzatà, e questo fa riflettere «sull’acqua, l’acqua come simbolo di salvezza, perché è un mezzo di salvezza, ma l’acqua è anche un mezzo di distruzione: pensiamo al Diluvio … Ma in queste letture, l’acqua è per la salvezza. Nella prima lettura, quell’acqua che porta alla vita, che risana le acque del mare, un’acqua nuova che risana. E nel Vangelo, la piscina, quella piscina dove andavano i malati, piena d’acqua, per risanarsi, perché si diceva che ogni tanto si muovessero le acque, come fosse un fiume, perché un angelo scendeva dal cielo a muoverle, e il primo, o i primi, che si buttavano nell’acqua erano guariti». Per questo lì «giacevano un grande numero di infermi, ciechi, zoppi, paralitici, aspettando la guarigione, che si muovesse l’acqua. Si trovava lì un uomo che da 38 anni era malato. 38 anni lì, aspettando la guarigione. Fa pensare, questo, no? È un po’ troppo … perché uno che vuole essere guarito si arrangia per avere qualcuno che lo aiuti, si muove, è un po’ svelto, anche un po’ furbo … ma questo, 38 anni lì, al punto che non si sa se è ammalato o morto». Gesù gli si avvicina e gli chiede se vuole guarire. «La risposta è interessante», spiega Francesco, «non dice di sì, si lamenta. Della malattia? No. Rispose il malato: “Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi – sto per prendere la decisione di andare – un altro scende prima di me”. Un uomo che sempre arriva in ritardo. Gesù gli dice: “Alzati, prendi la barella e cammina”. All’istante quell’uomo guarì».
Bergoglio riflette sull’atteggiamento di quest’uomo. «Era malato? Sì, forse, qualche paralisi aveva, ma sembra che poteva camminare un po’. Ma era malato nel cuore, era malato nell’anima, era malato di pessimismo, era malato di tristezza, era malato di accidia. Questa è la malattia di quest’uomo: “Sì, voglio vivere, ma …”, stava lì. Ma la risposta è: “Sì, voglio essere guarito!”? No, è lamentarsi: “Sono gli altri che arrivano prima, sempre gli altri”. La risposta all’offerta di Gesù per guarire è una lamentela contro gli altri. E così, 38 anni lamentandosi degli altri. E non facendo nulla per guarire».
E ancora, il racconto del Vangelo, con Gesù che lo incontra nel Tempio e lo ammonisce sul non peccare più, ci dice che «quell’uomo era in peccato, ma non era lì perché [ne] aveva fatta una grossa, no. Il peccato era di sopravvivere e lamentarsi della vita degli altri: il peccato della tristezza che è il seme del diavolo, di quella incapacità di prendere una decisione sulla propria vita, ma sì, guardare la vita degli altri per lamentarsi. Non per criticarli: per lamentarsi. “Loro vanno prima, io sono la vittima di questa vita”: le lamentele, respirano lamentele, queste persone».
Il Papa fa il paragone con il cieco nato: «Con quanta gioia, con quanta decisione aveva preso la guarigione, e anche con quanta decisione è andato a discutere con i dottori della Legge! Questo soltanto andò e informò: “Sì, è quello”. Punto. Senza compromesso con la vita … Mi fa pensare a tanti di noi, a tanti cristiani che vivono questo stato di accidia, incapaci di fare qualcosa ma lamentandosi di tutto. E l’accidia è un veleno, è una nebbia che circonda l’anima e non la fa vivere. E anche, è una droga perché se tu l’assaggi spesso, piace. E tu finisci un “triste-dipendente”, un “accidia-dipendente” … E’ come l’aria. E questo è un peccato abbastanza abituale tra noi: la tristezza, l’accidia, non dico la malinconia, ma si avvicina».
E invita a leggere bene «questo capitolo 5 di Giovanni per vedere com’è questa malattia nella quale possiamo cadere. L’acqua è per salvarci. “Ma io non posso salvarmi” – “Perché?” – “Perché la colpa è degli altri”. E rimango 38 anni lì … Gesù mi guarì: non si vede la reazione degli altri che sono guariti, che prendono la barella e ballano, cantano, rendono grazie, lo dicono a tutto il mondo? No: va avanti. Gli altri gli dicono che non si deve fare, dice: “Ma, quello che mi ha guarito m’ha detto di sì”, e va avanti. E poi, invece di andare da Gesù, ringraziarlo e tutto, informa: “ È stato quello”. Una vita grigia, ma grigia di questo cattivo spirito che è l’accidia, la tristezza, la malinconia».
Infine Francesco chiede di pensare «all’acqua, a quell’acqua che è simbolo della nostra forza, della nostra vita, l’acqua che Gesù ha usato per rigenerarci, il battesimo. E pensiamo anche a noi, se qualcuno di noi ha il pericolo di scivolare su questa accidia, su questo peccato neutrale: il peccato del neutro è questo, né bianco né nero, non si sa cosa sia. E questo è un peccato che il diavolo può usare per annientare la nostra vita spirituale e anche la nostra vita di persone. Che il Signore ci aiuti a capire quanto brutto e quanto maligno è questo peccato».
Dopo l’omelia, per la comunione spirituale Bergoglio chiede di recitare queste parole:
«Gesù mio, credo che sei realmente presente nel Santissimo Sacramento dell’altare. Ti amo sopra ogni cosa e ti desidero nell’anima mia. Poiché ora non posso riceverti sacramentalmente, vieni almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io Ti abbraccio e tutto mi unisco a Te. Non permettere che abbia mai a separarmi da Te».