Errare è umano, ma perseverare è diabolico. Il celebre aforisma di Sant’Agostino potrebbe riassumere le politiche italiane sui rom e sinti degli ultimi decenni. Interventi (e quindi scelte degli amministratori) improntate a costruire soluzioni abitative con nomi diversi – campi attrezzati, aree nomadi, villaggi della solidarietà – ma che hanno sempre avuto una caratteristica: essere per una sola etnia.
«Il paese dei campi» è la definizione più usata dalle istituzioni europee, «enclave di segregazione» quella utilizzata dall’Onu per criticare questi luoghi del disagio con il timbro delle autorità. Ghetti, con tutti i problemi sociali del ghetto, ripetono da tempo sociologi, maestri di scuola, educatori e polizia locale.
Nel 2012, recependo le indicazioni di Bruxelles, il ministro Andrea Riccardi aveva voluto la prima Strategia nazionale per l’inclusione dei rom, sinti e caminanti, basata su scuola, lavoro, salute e casa. La direzione indicata alle amministrazioni locali era chiara: superare i campi, basta soluzioni abitative monoetniche.
In Italia – un Paese dove i rom sono pochi (180mila, lo 0,23%), per metà italiani, per due terzi già abitanti in casa e per il 60% minorenni – ci sono anche progetti seri che hanno funzionato: a Milano, la Comunità di Sant’Egidio ha aiutato a passare dalle baracche alla casa 42 famiglie che fino al novembre 2009 abitavano nella baraccopoli di Rubattino a Milano. Solamente autofinanziandosi, con l’aiuto di volontari del quartiere e delle maestre della zona.
In questa foto e in copertina immagini del campo La Barbuta, nei pressi di Ciampino a Roma.
Una lunga storia di soldi buttati per costruire ghetti
Eppure, nonostante la Strategia nazionale e i prevedibili problemi sociali di ragazzini cresciuti ai margini della città, tante amministrazioni di diverso orientamento politico hanno continuato a spendere milioni di euro per costruire ghetti.
A Roma, con una sentenza storica, il 30 maggio scorso la seconda sezione del Tribunale Civile ha riconosciuto «il carattere discriminatorio di natura indiretta della complessiva condotta di Roma Capitale». Sotto accusa «l’assegnazione degli alloggi del villaggio attrezzato La Barbuta», uno dei sette “villaggi di solidarietà” capitolini.
Situato nel cono di volo dell’aeroporto di Ciampino, ospita 580 rom, di cui più della metà minori. La sua storia inizia nel 1995, quando la Giunta Rutelli apre un primo “campo sosta attrezzato”, ma diviene così densamente popolato solo a fine del 2012. Quell’anno, infatti, attuando il Piano Nomadi della Giunta Alemanno, vengono inaugurati i nuovi prefabbricati, contenuti in un’area recintata e costati milioni di euro. Qui vengono trasferiti i rom sgomberati dai campi della città.
Nell’aprile del 2012, però, l’Associazione 21 luglio e l’Asgi (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione) decidono di portare le carte in Tribunale contro il Comune di Roma; l’azione legale è sostenuta dall’Open Society Foundation e ha il supporto di Amnesty International e del Centro Europeo per i Diritti dei Rom. Già ad agosto 2012 il giudice parla di «carattere discriminatorio» e chiede la sospensione degli alloggi. Nulla da fare, il Comune persiste e a settembre il Tribunale, in un nuovo pronunciamento, accoglie il ricorso autorizzando il trasferimento alla Barbuta delle famiglie rom.
Il 30 maggio 2015 la nuova puntata. Il Tribunale chiede all’amministrazione di Roma «la cessazione della suddetta condotta nel suo complesso, quale descritta in motivazione, e la rimozione dei relativi effetti». «Deve infatti intendersi discriminatoria», scrive il giudice, «qualsiasi soluzione abitativa di grandi dimensioni diretta esclusivamente a persone appartenenti a una stessa etnia, tanto più se realizzata, come nel caso dell’insediamento sito in località La Barbuta, in modo da ostacolare l’effettiva convivenza con la popolazione locale, l’accesso in condizione di reale parità ai servizi scolastici e socio-sanitari e situato in uno spazio dove è posta a serio rischio la salute delle persone ospitate al suo interno».
Insomma, basta ghetti. «Questa sentenza rappresenta uno spartiacque decisivo, oltre il quale ogni azione del Comune deve indirizzarsi verso il definitivo superamento dei campi», commenta la “21 luglio”. Ora la Giunta Marino, che l’associazione accusa di «immobilismo», si trova di fronte a un bivio: potrà presentare appello e bloccare l’esecuzione della sentenza, oppure avviare il superamento dei campi.
Infine, c’è un fatto che dovrebbe far riflettere i politici che in questi anni hanno costruito fortune elettorali contro i rom. Pochi giorni dopo l’uscita della sentenza sui campi, è stato arrestato per Mafia Capitale Angelo Scozzafava, alto dirigente capitolino e poi assessore alle Politiche sociali di Gianni Alemanno. Fu il responsabile dell’attuazione del Piano Nomadi a Roma grazie ai 30 milioni di euro che l’allora ministro Roberto Maroni stanziò per interventi come quello sulla Barbuta. Interventi sbagliati e discriminatori, come oggi certifica il Tribunale, ma come già allora spiegavano varie associazioni e il Consiglio d’Europa.