Il padagogista Daniele Novara e lo psicoterapeuta Alberto Pellai tornano al centro del dibattito pubblico per l’appello lanciato contro l’utilizzo di smartphone agli under 14 e dei social media agli under 16. La proposta, accolta da numerosi specialisti e molti protagonisti del mondo della cultura, del cinema (Paola Cortellesi per esempio), dell’arte, mira innanzitutto a creare consapevolezza intorno all’uso dei devices elettronici e alle conseguenze drammatiche di un abuso smodato, soprattutto nei confronti dei più piccoli. Cerebrali, sociali, cognitivi: sono innumerevoli i danni subiti della generazione nata con lo smartphone in mano.
Dottor Novara, cosa dice l'appello e perché è così decisivo?
«L'appello, redatto e preparato con Alberto Pellai, firmato da migliaia di specialisti e anche di personaggi del mondo della cultura e dell'arte, è fondamentale perché la situazione è fuori controllo. L'idea che dovessero essere i genitori a fare da front office rispetto alla gestione dei dispositivi che finiscono nelle mani dei figli è fallita. Fronteggiare in autonomia un'invadenza di questo tipo si è semplicemente vanificata. I figli si rovinano, non dormono, finiscono nei DSA, sviluppano anche disturbi più gravi, pericolosi per la salute di ciascuno. Una situazione di questo tipo non dipende dai genitori. Non bisogna colpevolizzarli, anzi, vanno aiutati con una legge sul divieto under 14 per lo smartphone e under 16 per i social. È una misura di sicurezza, non di proibizione, come ci sono le cinture in auto, il casco per la moto e il divieto di fumo nei ristoranti. Per giunta, per i ragazzi abbiamo già il divieto per il fumo e per l'alcol sotto i 18 anni. Non si capisce quindi perché non sarebbe possibile farne una anche per i device elettronici, ambito così pericoloso per i ragazzi ma specialmente per i bambini, che stanno bruciando un sacco di neuro connessioni passando tempo inutilmente in questi ambienti virtuali. È una normativa di tutela, così come non facciamo guidare l'auto a un ragazzino di 12 anni. Dobbiamo dare questo limite, questa cornice normativa che permetta ai genitori di educare i figli senza dover fronteggiare le più grandi aziende del pianeta. È impensabile che un genitore si metta a respingere l'assalto di un marketing sempre più cinico che ha deciso che i migliori clienti sono i bambini. La pubblicità è rivolta a loro ed è vergognoso che non ci siano delle normative a riguardo».
Qual è il pericolo più grande?
«Ci ritroviamo con bambini di 8 anni che si fanno due ore con lo smartphone, ragazzi di 13 anni che non dormono di notte per continuare le loro partite ai videogiochi insieme ad altri compagni, quindi con gravi conseguenze di apprendimento scolastico ma anche non scolastico. L'Italia su questo è messa molto male, perché ci troviamo all'ultimo posto come numero di laureati e ai primi posti nell'area dei NET, quelli che non studiano e non lavorano. Quando comprai il mio smartphone quattro anni fa circa, mi hanno detto che sarei stato in grado di utilizzare il 5% delle funzioni previste. Quando me lo prende il mio nipotino di 10 anni, fa delle cose che non si possono neanche immaginare. Ci starebbe ore e ore, ma questo vuol dire che rinuncia alla vita vera, a correre dietro un pallone, a fare un disegno, a leggere un libro, a stare con gli amici».
Cosa si può fare?
«Sono anni che vengono condotte ricerche, soprattutto negli Stati Uniti, su questo tema. La politica non riesce a muoversi però, perché ci sono dietro interessi economici molto forti. È anche il motivo per cui alcuni personaggi noti hanno aderito subito, mentre altri no. Bisogna slegarsi da queste macchinazioni ciniche».
Nel pubblico sarà più facile gestire le conseguenze, ma nel privato? In famiglia?
«Ogni mese faccio circa 60 appuntamenti nel mio studio con i genitori. Quello che noi sappiamo è che nessuno, oggi, nelle famiglie, lascia per esempio fumare i figli in casa, anche se i genitori sono fumatori, perché ci sono delle norme a regolare determinate situazioni. I genitori si appelleranno a queste norme e i figli si adegueranno, come per altre questioni. Lo stesso vale per l'alcol. È un meccanismo già rodato. Se la società dà indicazioni normative chiare, i genitori si allineano, ma è la società che deve creare in primis le condizioni affinché questi possano educare adeguatamente i propri figli».