È vero, sulla carta è solo una partita, una delle tante lungo il cammino periglioso delle Atp Finals di Torino dove ogni match vale la finale di uno slam. Più della vittoria, la prima contro il numero uno al mondo, conta il come: non è da tutti vincerla così, dopo aver avuto due occasioni perdute. Non è da tutti ma è molto da Jannik Sinner.
Quando si dice vincere con la mente: mettersi alle spalle i rimpianti e guardare avanti, avendo di là un simbolo della storia del tennis: Nole Djokovic, l’osso più duro, perché forte di fisico, a dispetto dei 36 anni, impeccabile di tecnica, resistentissimo di testa. Ma nella mente dell’ancor giovane Jannik Sinner, un’infinità di partite e 14 anni in meno dell’avversario, c’è qualcosa di speciale: non solo il coraggio mai temerario di affrontare alla pari i migliori al mondo, conducendo il gioco, e mettendoli in fila tutti, ma il fegato di giocare con più freddezza i punti importanti.
Difficile dire quanto abbiano pesato sui due piatti della bilancia di Djokovic il vantaggio della maggior esperienza e lo svantaggio dell’anagrafe. Di certo in quella di Sinner pesa tantissmo la capacità di guardare le partite solo con gli occhi puntati avanti: non a quello che si è già perso prima ma a quello che si può ancora vincere. Anche quando l'avversario fa di tutto per mandarti fuori di testa.
Sinner dice di averlo capito bambino quando ha lasciato lo sci per il tennis perché nel primo un errore ti castiga nel secondo c’è sempre un margine. Ma una cosa è pensarlo a 12 anni altro è metterlo in pratica a 22 con un mostro sacro di là dalla rete e un intero Paese sulle spalle.
C'era tutto per perdere la testa in una notte così: trovarsi in casa, in una città impazzita, davanti a un pubblico che voleva solo la vittoria, con una pressione mostruosa. Ma Sinner non è tipo da perderla. E infatti vince.