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Lo Stato scende a patti con la mafia

21/04/2018  Dopo più di cinque anni di processo sui fatti di sangue della stagione 1992-1993, dalle stragi di Falcone e Borsellino agli attentati di Roma, Milano e Firenze, condannati dalla Corte d'assise di Palermo in primo grado Mori, De Donno, Dell'Utri e Bagarella. Assolto Mancino, perché il fatto non sussiste. È enorme la rilevanza della sentenza: non solo, dicono i giudici, la Trattativa tra Cosa nostra e pezzi dello Stato c’è stata, ma l’hanno condotta da un lato i boss mafiosi dall’altro tre alti ufficiali dei Carabinieri e il fondatore di Forza Italia.

Lo Stato ha trattato ed è sceso a patti con la mafia. Questo alla fine è il significato della sentenza della Corte d’Assise di Palermo. Afferma una verità sconvolgente. È il verdetto di primo grado, di sicuro la vicenda giudiziaria andrà avanti. Ma oggi i giudici di Palermo hanno dato ragione all’impianto accusatorio della Procura, rappresentata dai magistrati Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi.

La sentenza conclude un processo lunghissimo, durato oltre 5 anni e mezzo, e dopo 5 giorni di camera di consiglio del collegio giudicante, presieduto da Alfredo Montalto (giudice a latere Stefania Brambille). Un processo chiamato a indagare sulla stagione di sangue del 1992 e 1993, con le stragi che hanno ucciso Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, le scorte, e che ha prodotto poi i primi attentati fuori dalla Sicilia nella storia di Cosa nostra: le bombe di Roma, Milano e Firenze.

Tranne Nicola Mancino (assolto perché il fatto non sussiste) e Giovanni Brusca (per intervenuta prescrizione), gli altri imputati sono stati condannati, sia gli uomini delle istituzioni del nostro Paese sia i mafiosi: 12 anni per gli ex generali Mario Mori e Antonio Subranni, 12 per l'ex senatore Marcello Dell'Utri, 8 per l'ex colonnello Giuseppe De Donno. E ancora: 28 anni di reclusione per il boss mafioso Leoluca Bagarella. Il cosiddetto “supertestimone” Massimo Ciancimino è stato condannato a 8 anni per il reato di calunnia nei confronti dell'ex Capo della Polizia Gianni De Gennaro (ma è stato assolto da quella di associazione mafiosa).

È enorme la rilevanza della sentenza: non solo, dicono i giudici, la Trattativa tra Cosa nostra e pezzi dello Stato c’è stata, ma l’hanno condotta da un lato i boss mafiosi dall’altro tre alti ufficiali dei Carabinieri e il fondatore di Forza Italia. Mentre avvenivano le stragi e scoppiavano le bombe, quindi, uomini delle nostre istituzioni hanno cercato contatti con i mafiosi e si sono trasformati nel veicolo del ricatto dei corleonesi. Quanto a Marcello Dell’Utri, la condanna conferma l’accusa della Procura di essere l’uomo-cerniera fra i boss e il primo governo Berlusconi. In altre parole, la mafia siciliana ha condizionato i tre governi che si sono succeduti fra il 1992 e il 1994 – quelli guidati da Amato, Ciampi e poi Berlusconi – minacciando altre bombe e altre vittime se non si fosse fermata l’offensiva antimafia di quegli anni.

Peraltro, l’inchiesta sulla Trattativa, che ha portato al processo e ora alla sentenza, è figlia di una precedente lunga indagine della stessa Procura di Palermo, quella nota come “Sistemi criminali”, guidata dagli allora Pm Roberto Scarpinato e Antonio Ingroia, che ipotizzava un tentativo di eversione dello Stato, avvenuto all’inizio degli anni ’90, concertato dalla stessa Cosa nostra insieme ad ambienti della massoneria deviata, pezzi dello Stato ed esponenti dell’estremismo di destra. Lo scopo, secondo i magistrati, doveva essere quello di destabilizzare il Paese con la strategia stragista, favorendo nel contempo un forte condizionamento politico attraverso la creazione e il rafforzamento delle Leghe del Sud che avrebbero dovuto consentire alla mafia il controllo del meridione. Sistemi criminali fu poi archiviata, ma la successiva inchiesta sulla Trattativa ne assunse per intero gli atti di indagine.

Lo stesso Giovanni Falcone, d’altro canto, nel 1992, in un’intervista rilasciata poche settimane prima di essere ucciso a Capaci, aveva dichiarato: «Ora è la mafia che vuole comandare. E se la politica non obbedisce, la mafia si apre la strada da sola». Le condanne di oggi dicono che quella “strada” divenne trattativa, avviata dagli ufficiali dei Carabinieri e conclusa da Dell’Utri.

«Qualcuno dello Stato», è stato il commento di oggi di Nino Di Matteo, «ha trattato con Riina, Bagarella e altri stragisti, trasmettendo le richieste, i messaggi di Cosa nostra ai governi. Prima si era messa in correlazione Cosa nostra con il Silvio Berlusconi imprenditore, adesso questa sentenza per la prima volta la mette in correlazione col Berlusconi politico. Le minacce subite attraverso Dell’Utri non risulta che il governo Berlusconi le abbia mai denunciate, e Dell’Utri aveva veicolato tutto. Ecco perché è una sentenza storica».

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