È pienamente comprensibile la costernazione dei credenti a causa della sospensione delle celebrazioni, assunta come misura cautelare onde cercare di almeno arginare la diffusione del coronavirus. La sacramentalità, ossia la contemporaneità di Cristo, nei sette segni e in particolare nel mistero eucaristico, è fondamentale nel cristianesimo, che non è né una dottrina né una morale, ma un incontro, reale, e diremmo “fisico”, con la persona di Gesù. Ma è con Gesù stesso che dobbiamo misurare questa nostra situazione di “digiuno eucaristico”. Egli, infatti, allorché ha percepito che l’osservanza del sabato poteva risultare dannosa per l’uomo, ha sospeso, certo non abolito, tale esercizio del culto, esprimendosi con la famosa frase “Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato!” (Mc 2,27). E ciò in relazione alla guarigione di un uomo con la mano inaridita e alla raccolta delle spighe da parte dei discepoli (cf Mc 2,23-28 e 3,1-8). Gesù di Nazareth ci ha anche insegnato che il tempio è il cuore dell’uomo ed è in esso che si celebra il culto spirituale. Nel dialogo con la Samaritana, leggiamo “Ma viene l'ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità” (Gv 4,23-24). Non si tratta quindi semplicemente di aderire a una disposizione governativa, promulgata per il bene comune, ma della custodia dell’umano, cui la Chiesa è chiamata e che deve ritenere una vera e propria priorità. Infatti, come non è né dottrina, né morale, il cristianesimo non è neppure in primo luogo una religione cultuale, ma si relaziona alla presenza di Dio nella storia e ai gesti e alle parole di Gesù, che devono illuminare il nostro presente e le vicende umane, anche dolorose, come quelle che stiamo vivendo.
Anche circostanze come questa, possono costituire occasioni di Grazia. “Tutto è Grazia!” esclama il curato di campagna nel famoso romanzo di Georges Bernanos ed è grazia anche questo “digiuno” sacramentale, dal quale possiamo cogliere l’appello a recuperare la “sacramentalità della Parola” (Verbum Domini 56), nella sua vis performativa. La Parola di Dio, consegnata nelle Scritture sante ed espressa nella creazione e nella storia della salvezza, ha una sua intrinseca energia sacramentale. In quanto il suo ascolto genera la fede, la Parola ha un valore salvifico: Paolo, infatti, scriveva: “Cristo non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo” (1Cor 1,17). E questa attenzione al primato della Parola e della fede non toglie nulla al valore e alla necessità dei sacramenti e della loro celebrazione. Siamo chiamati dunque a vivere il momento presente, lasciando che sia la Parola di Dio a penetrare nelle nostre esistenze e ad agire nei nostri cuori e nelle nostre menti, attivando tutte le iniziative personali e comunitarie (anche digitali) possibili, perché, mentre viviamo nella trepida attesa di poter di nuovo nutrirci con l’eucaristia, possiamo sperimentare un’autentica conversione quaresimale nello spirito del Vangelo.