(Nella foto Ansa: i nuovi direttori del Tg3 e del Tg2, Luca Mazzà e Ida Colucci)


Non cambia mai nulla, che al Governo ci sia il centrosinistra o il centrodestra. Le mani della politica sulla Rai continuano ad allungarsi e anche a riproporsi le inevitabili polemiche di partito o di coalizione, soprattutto ogni volta che cambiano i direttori ai telegiornali che sono, insieme con i talk show, le "macchine" dell'informazione capaci di creare e di orientare il consenso (elettorale). È accaduto anche questa volta, dopo il via libera del Consiglio di amministrazione dell'azienda di viale Mazzini alle nomine giornalistiche ai Tg: Ida Colucci è stata promossa al Tg2 al posto di Marcello Masi; Luca Mazzà scelto per sostituire Bianca Berlinguer al Tg3; Andrea Montanari al Gr-Radio1 e Nicoletta Manzione a Rai Parlamento. Confermati invece Mario Orfeo al Tg1 e Vincenzo Morgante alla TgR.

Per continuare nel lavoro di riforma intrapreso che porterà a fine anno alla presentazione del Piano editoriale sull'informazione, il direttore generale Campo Dall'Orto aveva proposto al Consiglio di amministrazione, riunito sotto la presidenza di Monica Maggioni, le nomine di 4 nuovi direttori per le testate giornalistiche di Tg2, Tg3, Giornale Radio e Rai Parlamento confermando gli attuali direttori di Tg1 e Tgr. Secondo il Direttore generale le nomine sono state elaborate valorizzando le risorse interne, premiando il merito e le competenze, anche per i risultati ottenuti, attuando pienamente le pari opportunità, scegliendo profili che garantiscono autonomia, equilibrio e corrispondenti alla costante implementazione del Progetto informazione Rai. Le proposte di Campo Dall'Orto sono state approvate a maggioranza con 6 pareri favorevoli e 3 contrari. Hanno votato contro i consiglieri Arturo Diaconale, Giancarlo Mazzuca e Carlo Freccero.
Apriti cielo. È successo di tutto: i senatori del Pd Miguel Gotor e Federico Fornaro si sono dimessi dalla commissione di Vigilanza della Rai. «Le nomine», spiegano, «sono state fatte in modo non trasparente, penalizzando competenze e professionalità interne, come nel caso di una giornalista autorevole quale Bianca Berlinguer, senza che emergano un profilo e una visione di un moderno servizio pubblico». «Il Pd - aggiungono - non è nato per riprodurre i vizi del passato, ma per cambiare l'Italia e, convinti che un altro Pd sia possibile, ci dissociamo da uno stile e da un costume politico che non ci appartiene». Scelta condivisa dall'ex segretario Pd ed ex ministro Luigi Bersani: «Da Fornaro e Gotor un gesto forte e coerente. Chi governa il Pd ha ereditato un partito che rifiutò di partecipare alle nomine Rai, senza mai interferire. Una volta al Governo si doveva partire da lì».
Sulla stessa linea, ovviamente, il principale protagonista del dissenso all'interno del Partito Democratico, e cioè Gianni Cuperlo: «Le dimissioni dei senatori Gotor e Fornaro, al di là della coerenza, dovrebbero far riflette il gruppo dirigente del Pd su un'altra occasione persa. La politica non ha smesso la sua influenza sulla Rai. Dopo la scelta non scontata che aveva portato, ad esempio, alle nomine di Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi si è tornati a una vecchia prassi. Temo che in questo modo il servizio pubblico non vada nella direzione che servirebbe: autonomia, indipendenza, pluralismo. Spero vi sia tempo e volontà per comprenderlo. Per il bene della Rai e di una informazione ricca». 
E' interessante notare che le critiche più aspre a questo giro di nomine Rai provengono più dagli esponenti del Pd e dagli avversari di Matteo Renzi alla segreteria di partito che dal centrodestra. Durissimo, infatti, anche Stefano Fassina, di Sinistra Italiana, che ha parlato di nomine «come in Ungheria». «La legge di riformà della Rai ha dato un potere al Governo nella nomina dei vertici della TV pubblica pari, nell'Unione europea, solo a quello di Victor Orban. Stanotte, tramite Presidente e dg del cosiddetto servizio pubblico, il potere acquisito è stato esercitato. Le condizioni della nostra democrazia sono sempre più preoccupanti. Il Presidente del Consiglio con l'Italicum viene eletto da una minoranza di cittadini e nomina i deputati. Il Presidente del Consiglio con la revisione costituzionale domina gli istituti di garanzia, come la Corte Costituzionale e marginalizza il Parlamento. Il Presidente del Consiglio con la legge Rai imposta dalla maggioranza nomina indirettamente i direttori dei Tg. Votare no al referendum costituzionale è decisivo per arrestare la regressione in corso della nostra democrazia».   
Tutti contro il Premier, insomma. Dal centrodestra la voce di Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d'Italia: «Nessuno mette in discussione la professionalità dei nuovi direttori dei Tg. È però evidente per le modalità di queste nomine il tentativo sempre più chiaro di Renzi di trasformare il servizio pubblico in un megafono per il Governo e per il Pd. E se tu non vuoi un servizio pubblico, ma vuoi un megafono per te stesso almeno non lo devi far pagare agli italiani. Allora bisogna abolire il canone, altro che metterlo in bolletta». Parere negativo anche dai parlamentari del M5S in commissione Vigilanza Rai: «Il disegno dell'Esecutivo è chiaro: militarizzare l'informazione in vista della campagna referendaria. Il nostro auspicio è comunque che i nuovi direttori facciano al meglio il proprio lavoro garantendo il pluralismo. Esattamente come non hanno fatto per anni direttori piazzati dai vari Governi che si sono succeduti. Quei soggetti politici, partendo dalla minoranza Pd e finendo con il duo Brunetta-Gasparri, che oggi attaccano le scelte di Campo Dall'Orto lo fanno perché volevano una fetta di torta. È un atteggiamento che condanniamo e abbiamo sempre condannato. Il M5S è coerente, dice no alla politica in Rai e di conseguenza non chiede poltrone. Lo stesso non si può dire degli altri lottizzatori seriali».