Sarà perché quegli occhi azzurri scintillano ancora come ai tempi di Trinità, oppure perché al suo don Matteo riesce il miracolo di sbancare i dati Auditel, ma alla fine con Terence Hill i conti dei produttori tornano sempre. Non siamo sul set, ma in un bar-libreria di Roma, tra una bevanda e quattro chiacchiere con Mario Girotti. Detto così, viene in mente la frase di moda della politica: “Girotti chi?”. Ma se al posto del nome e del cognome usiamo lo pseudonimo, Terence Hill, allora tutto diventa più chiaro. Sì, proprio lui, il don Matteo che sta spopolando su Rai 1, giunto alla nona serie al ritmo di un italiano su tre incollato davanti al video: insomma, il prete più popolare d’Italia. «Se avessimo avuto cinque milioni di spettatori saremmo stati soddisfatti», dice a voce bassa l’attore: «Ne sono arrivati molti di più; un bel successo, vero?».
Già, un clamoroso successo, visti i tempi difficili che sta vivendo la televisione. Nove mesi di lavorazione per una fiction che ormai corre su un binario tutto suo rispetto a qualsiasi altro prodotto per il piccolo schermo. Alla Lux Vide, che produce Don Matteo, si fregano le mani mentre lui, Terence Hill, mostra la propria soddisfazione in maniera pacata: «Ormai quel set è una piccola famiglia. Anzi, a dire il vero, stiamo più insieme fra di noi mentre lavoriamo che con i nostri cari ». Tentiamo di stanarlo, dunque, ’sto prete di provincia così amato dagli italiani di ogni fascia d’età. Certo che per un attore, un personaggio di così grande successo rischia di diventare un pericolo, no?
Finirà che tutti la ricorderanno per questo e basta. Non le dispiace?
«Ma no, anzi, sono felice che il pubblico ami questo personaggio. E io cerco di proteggerlo al massimo da ogni involontaria invasione».
In che senso?
«Mi offrono copioni a cui rinuncio, perché troppo distanti dal mio don Matteo e non voglio rischiare confronti tra un prete a cui tutti vogliono bene e personaggi magari diametralmente opposti. Vale anche per la pubblicità, che continuo a rifiutare nonostante le molte offerte che ricevo. No, preferisco restare vicino a don Matteo e rinunciare ad altro. Anche perché nove mesi di lavoro impongono rigore e al tempo stesso impediscono, o quasi, altri impegni».
Inevitabilmente, si va alle origini di Don Matteo. «All’inizio», racconta Terence, «si sarebbe dovuto chiamare don Teodoro, ma avevo qualche dubbio, pensavo che non fosse il nome adatto. In ogni caso, l’idea nasceva da quel padre Brown creato da Gilbert Chesterton. Sa cosa diceva lo scrittore inglese del suo personaggio? “Il prete conosce meglio l’animo umano e quindi arriva prima della polizia”. Don Matteo nasce anche da lì».