Quello che è successo alla bambina di Palermo, nel bagno di casa sua davanti allo specchio verrà chiarito solo in parte dalle registrazioni presenti sul suo cellulare. Purtroppo per la famiglia niente potrà riavvolgere il nastro di questo dramma consumato nella propria casa, nel luogo più sicuro per un bambino, a pochi metri dai propri genitori. Eppure qualcosa di inimmaginabile ha trasformato un gioco assurdo in una tragedia. Dalle notizie apparse sui giornali sappiamo che la piccola aveva accettato un sfida su TikTok, una blackout challenge, dove per vincere bisognava stringersi una corda attorno al collo resistendo fino a un istante prima del soffocamento. Vince chi supera la paura di sentirsi morire e si ferma per ultimo davanti ai segnali d’allarme del proprio corpo. Ma come si capisce quando si è al confine con la zona del non ritorno? I fatti ci dicono che la risposta può non arrivare in tempo.
Gli inquirenti stanno indagando su come questa sfida possa essere arrivata a una bambina di dieci anni. Da quanto apprendiamo dai media, TikTok si è dichiarato disponibile a collaborare nelle indagini per evitare che un dramma del genere possa ripetersi, ma l’universo della rete è così infinito che nessuno può garantirne la sicurezza. E quindi che possibilità ha un genitore di proteggere i propri figli dall’essere ingaggiati in sfide pericolose che potrebbero anche portare a conseguenze estreme, come in questo caso? Credo che nessuno di noi possa dirsi al sicuro e tranquillo. Viviamo in un ambiente digitale che ogni giorno genera infiniti messaggi sui quali è impossibile avere il controllo assoluto e chi sta crescendo impara a decodificarli nel qui ed ora dell’esperienza, senza manuali di istruzioni. Ci sono i filtri e i parental control ma il sistema si rigenera di continuo ed è difficile mantenere una zona protetta. TikTok è un social utilizzato da una moltitudine di bambini, per molti adulti è valutato come un “terreno” innocuo eppure sembra che tutta questa storia abbia avuto origine proprio qui. Purtroppo nei fatti accaduti a Palermo, una sfida estrema si è trasformata in un incidente gravissimo, segno che qualcosa è andato storto. La bambina di certo non aveva alcuna intenzione di perdere fino a questo punto il controllo di quel “gioco”. Bastava mollare la stretta e finiva tutto e invece non è andata così, è successo qualcosa che non ha permesso di tornare indietro. Come quando si cammina su un cornicione, si fa un selfie estremo, si attraversa l’autostrada a piedi: si tratta di prove estreme di coraggio (così le interpreta il ragazzo che le agisce) e chi le fa è guidato solo dal desiderio di osare l’impossibile. Il suo cervello non sente altro che la voglia di provare la sensazione estrema di sentirsi quanto mai vivo e coraggioso. Il confine tra vita e morte di queste sfide però è molto sottile. La tristezza di questa sfida on line è che la protagonista era sola. Se ci fosse stata un’amica con lei avrebbe potuto aiutarla, liberarla in tempo da quella stretta. L’aspetto che più degli altri deve farci riflettere è che nei social i nostri figli sono soli. Sono in contatto virtuale con centinaia e migliaia di altri follower, ma nella realtà sono soli con se stessi. Come Cappuccetto Rosso, oggi stiamo parlando – con immenso dolore – di una bambina in una foresta piena di insidie e di tentazioni sfidanti. “Ma tu ce l’hai il coraggio di farlo?”. Se qualcuno fermasse un nostro figlio per strada e gli chiedesse di stringersi una cintura al collo è molto probabile che lui gli risponderebbe “Sono mica matto”. Direbbe di no e se ne andrebbe a gambe levate per l’assurdità della proposta. On line questa sfida assurda può diventare “interessante” per una bambina. Perchè avviene all’interno di un social in cui tu ti senti “di famiglia”, perchè tanti altri tuoi amici stanno facendo lo stesso , perchè mostrando il tuo video riceverai tanti like e sentirai di aver provato a te stesso e agli altri che vali, che sei unico e speciale. Si tratti di ingredienti che ogni giorno entrano nella vita dei nostri figli e li allontanano dal principio di realtà, rendendoli incapaci di posizionare l’asticella del limite al punto giusto e in tempo utile per non fare danni. Ogni giorno, milioni di messaggi in rete rendono accettabile ciò che non lo è. Un caleidoscopio digitale di colori, suoni, grafiche fanno apparire belle, cose in realtà orribili e desensibilizzano al pericolo.
Chi è prossimo a questa famiglia nelle prossime settimane farà di tutto per non farla sentire sola, per consolare questo dolore lancinante che forse un giorno si placherà, ma che lascerà comunque sgomenti perchè non può essere accettabile che nel luogo più sicuro (la nostra casa) entri sotto forma di gioco un invito a confrontarsi con la morte. Potremmo essere tutti nei panni di quei genitori che oggi sono dilaniati dal dolore. Sono eventi di questa natura che devono spingere noi genitori a scendere in campo, pretendendo che la rete sia un territorio dove non tutto può accadere e non tutto è lecito. Molti attribuiscono questo genere di tragedie alla mancata educazione da parte dei genitori che non prevengono i comportamenti a rischio dei minori nell’online con la giusta educazione digitale. Ma il tema resta molto più complesso: anche iscrivendo un dodicenne alla scuola guida, è molto probabile che non sarà capace di guidare in modo sicuro un’ automobile di grande cilindrata.