E' la nazione più giovane dell'Asia, undici anni appena. Per raggiungere questo obiettivo i timoresi hanno dovuto aspettare parecchio: mezzo secolo di colonizzazione portoghese, 24 anni di occupazione indonesiana, una crisi politica sfociata in guerra civile, oltre un decennio trascorso con la costante presenza dei caschi blu dell'Onu. Una storia di morti e distruzione le cui ferite non si sono ancora rimarginate.
Solo durante l'occupazione indonesiana i morti civili furono 183mila, ha calcolato l'Onu. Tradotto: un terzo della popolazione dell'epoca cancellata, in gran parte per fame e malattie causate dall'avvelenamento dell'acqua. Un tentato genocidio rimasto sottotraccia perché quelli, come hanno rivelato documenti ufficiali oggi desecretati, erano gli anni della Guerra Fredda.
Fu così che nel 1974, quando in Portogallo la Rivoluzione dei Garofani decretò la fine del regime dittatoriale fondato da Antonio Salazar, la piccola colonia asiatica di Lisbona si ritrovò preda potenziale della minaccia comunista. Per evitare un altro Vietnam, gli Stati Uniti, allora guidati dal presidente Gerald Ford e dal segretario di Stato Henry Kissinger, permisero al dittatore indonesiano Suharto di invadere Timor Est. Il fedele alleato di Washington pensava di avere gioco facile con la popolazione locale, ma alla fine si dovette ricredere.
I guerriglieri del Falantil resistettero nascosti nelle montagne interne del Paese fino all'inizio degli anni '90, quando il quadro geopolitico cambiò a causa del crollo dell'Unione Sovietica.
Alcuni video girati sul campo da giornalisti stranieri mostrarono al mondo quanto stava succedendo a Timor Est, con la popolazione civile massacrata dall'esercito indonesiano.
Le diplomazie occidentali non poterono più girare la faccia dall'altra parte, e così iniziarono a fare pressione per un referendum sull'indipendenza del Paese.
Oggi il leader di Repubblica Democratica di Timor Est si chiama Josè Alexandre Gusmão, 67 anni, per tutti Xanana. E' stato il capo della guerriglia anti-indonesiana, ha trascorso anni nelle prigioni di Giacarta, qualcuno in Patria lo paragona ad Ernesto Che Guevara. Oggi riveste la carica di Primo Ministro e gode di un ampio sostegno popolare.
La sua ricetta, a base di riconciliazione con la vicina Indonesia e crescita economica, per ora sta funzionando. “Negli ultimi cinque anni il Pil nazionale ha registrato un aumento medio dell'11,9%, uno dei tassi più alti al mondo, non solo in Asia”, tiene a sottolineare Helder Da Costa, funzionario del ministero delle Finanze.
La tendenza sembra destinata a durare. Secondo la Banca Asiatica di Sviluppo, la piccola Timor quest'anno sarà la nazione con uno dei più alti tassi di crescita economica del continente, seconda solo alla Mongolia.
Il boom ha un'unica ragione: i soldi di gas e petrolio nascosti sotto i fondali marini. I giacimenti attivi si chiamano Kitan, operato dall'italiana Eni, e Bayu-Undan, il più grande, la cui quota di maggioranza è in mano all'americana Conoco-Phillips. Di tesoro ce ne sarebbe un altro, il cosiddetto Greater Sunrise, ma per ora i lavori sono bloccati a causa di una battaglia politico-economica tra il governo timorese e Woodside, la società australiana che si è aggiudicata lo sfruttamento del giacimento. Di fronte a questi fatti il Governo immagina un futuro all'insegna del benessere per i timoresi. “Entro il 2030 diventeremo un Paese dal reddito medio alto”, ripete Emilia Pires, ministro delle Finanze.
Il problema, secondo alcuni analisti, è che a fronte di un incremento notevole del Pil è cresciuta anche la spesa pubblica: + 600% negli ultimi cinque anni. “Un livello insostenibile”, prevede Charlie Scheiner, americano che vive qui da oltre 10 anni e dirige La'o Hamutuk, tra le pochissime società indipendenti di ricerca economica presente sul territorio: “Andando avanti a spendere denaro pubblico a questi tassi, entro il 2020 i fondi finiranno.
Anche se dovesse entrare in produzione Greater Sunrise, i suoi ricavi non basteranno a compensare la fine della produzione degli altri due. Il problema è che nel frattempo il governo non sta spendendo bene, cioè gli investimenti pubblici non generano abbastanza ricavi e non sono quelli di cui la maggior parte della gente ha bisogno.
Gran parte della spesa pubblica è dedicata ad autostrade che il timorese medio non utilizzerà perché non ha la macchina né i soldi per spostarsi, mentre nel 2012 solo il 3% del budget statale è stato destinato alla sanità e il 7% alla scuola. I nodi rischiano di venire al pettine tra alcuni anni. Oggi Timor esporta merci per 12 milioni di dollari, principalmente caffè, e ne importa per 300 milioni, cioè praticamente tutto il resto. Questo buco per ora è coperto dai ricavi petroliferi, ma cosa faremo quando il petrolio finirà, come faremo ad importare la merce, cosa mangerà la gente allora?”.