Paola e Laura sono amiche, camminano nella città infreddolita e assonnata con sulle spalle la bandiera della pace legata in verticale come un lungo mantello. Sono di Assisi, arrivate apposta presto a Perugia per marciare verso casa: «È la terza volta che faccio la marcia per la pace», racconta Paola mamma di due figli già grandi «Il pensiero va a chi non ha la possibilità di marciare perché non ha la libertà di farlo. Penso che sia urgente ribadire i valori della Costituzione, soprattutto dopo la violenza di ieri a Roma».
Laura partecipa per la prima volta: «Mi è piaciuta l’idea di onorare la memoria di Gino Strada. Ho un bambino, mi piacerebbe che crescesse in un mondo meno conflittuale».
Il riferimento all’assalto alla Cgil e alla guerriglia urbana di sabato, che a Roma ha saldato anti green pass ed estrema destra, ha dato a questa sessantesima marcia un’urgenza in più, una concretezza di carne e sangue che rende tutto molto vicino e meno astratto. Lungo la strada verso la partenza fissata ai Giardini del Frontone, la piccola Ipazia dorme beata nella sua tutina antifreddo rosa confetto. Attaccata al suo passeggino c’è una piccola bandiera di carta con i colori dell’iride, una didascalia spiega: la mia prima marcia della pace. Ho 151 giorni. È ignara, non sa, non potrà ricordare, ma i suoi genitori erano già qui due anni fa e sono tornati perché è a lei che vorrebbero dare un mondo più sano in cui vivere domani, quando le mostreranno questa foto e quando sarà abbastanza cresciuta nei valori che sperano di trasmetterle.
È un popolo variegato e colorato quello della Marcia Perugia – Assisi, non solo per l’arcobaleno che come in un caleidoscopio si propaga dalla grande bandiera alla testa del corteo alle mille variazioni sul tema che rimbalzano dalle bandiere sulle spalle, alle mascherine e persino a una gran cassa e alla chioma di una signora, non più ragazza, che si è tinta i capelli arcobaleno perché il messaggio sia più chiaro. In un gruppo di Bergamo una ragazza spiega che si viene per l’esperienza, per condividere dei valori anche se magari le motivazioni individuali sono diverse: muove il passaparola, l’invito di un amico, la curiosità di esserci. Ci si arriva a volte scoprendo l’occasione un po’ per caso: «Non conoscevamo la marcia», racconta Tommaso studente di Scienze motorie a Torino: «l’abbiamo scoperta da un sito Internet ci è piaciuta l’idea e siamo venuti in gruppo. Speriamo di arrivare in fondo, una notte in pullman da Cuneo - scherza - non è proprio il massimo come preparazione atletica».
Le amiche lo prendono in giro: «Ma come non sei tu l’atleta del gruppo?». Francesca da Roma è arrivata da sola: «Ho scoperto tutto solo dieci giorni fa, non la conoscevo, mi è sembrata una cosa importante che in qualche modo ha risposto al mio bisogno di fare qualcosa». Per molti il collante organizzativo è stata Libera fondata da don Luigi Ciotti, presente alla marcia, ed evocata da mille bandiere colorate oppure gli scout. Il gruppo di Corato, in provincia di Bari, che ha viaggiato di notte, ha contato sull’organizzazione dell’amministrazione comunale: «Abbiamo riempito due pullman, come Comune la facciamo per la prima volta», racconta Aldo, «individualmente altri avevano partecipato, io volevo da tanto farlo. Penso che ci vorrebbe il coraggio di organizzare una marcia della pace attorno al Mediterraneo, bacino di tante tensioni». «A me», prosegue Adriana, «è piaciuto il fatto che quest’anno si sia scelto il tema della cura, mi sembra importante che si declini verso l’uomo il tema della pace».
Tra i cartelli ne spicca uno bianco, Liceo Alessi: «Siamo un liceo di Perugia», spiega la professoressa Simona Oliva tra gli accompagnatori del gruppo interclasse, «per noi è normale riflettere a scuola sul messaggio di Aldo Capitini, ma quest’anno credo che sia stato importante partecipare non solo per i 60 anni ma anche perché, dopo la pandemia, i ragazzi potessero trovare anche in questo un’occasione di riaggregarsi attorno a qualcosa di importante. È la nostra prima uscita dopo due anni di scuola e hanno risposto con entusiasmo».
All’ingresso dei giardini è radunato un gruppo di ciclisti, uno ha sulla schiena la colomba della pace con nel becco un ramoscello d’ulivo e il logo di una società, il cui nome è tutto un programma: paciclica. «Siamo gruppi diversi», racconta Giorgio, «di diverse parti d’Italia. Noi veniamo da Brescia, siamo partiti tre giorni fa, uniamo sport e impegno nel nome dei valori del pacifismo e dell’ecologia, del disarmo, la nostra zona sul nucleare ha ancora molto da fare».
Camminare e pedalare insieme è un modo per cominciare. Anzi per ricominciare dopo il 2020 in cui la marcia è stata catena umana per problemi di pandemia. Si parte, ricordando a tutti di non correre per non appiccicarsi troppo e di non dimenticare la mascherina.
La cura dell’altro inizia da lì. La signora Rosanna è arrivata da Monza con Zaverio e Mario: «Io c’ero già stata, la cosa più bella è l’atmosfera: sembra incredibile ma anche se 24 chilometri sono tanti mi sorprendo del fatto che camminando insieme non si sente la fatica».