Caro Direttore, le scrivo per manifestarle il mio disagio e quello di molti credenti. Sono nipote di un monsignore appena defunto che nella sua lunga carriera ha realizzato per la sua comunità un asilo, una casa di riposo, la Fuci, l’Azione Cattolica, gli Scout, era giudice rotale, insegnante e tante altre cose.
Ho frequentato una parrocchia di frati dove il catechismo era tutti i sabati, cantavamo nel coro, si faceva catechesi per adulti ed eventi ludici. Nella mia attuale parrocchia tutte queste cose non esistono. Credo, però, che non sia un problema limitato alla mia parrocchia, ma a guardare bene è molto diffuso.
A noi profani appare che sempre più spesso le nomine dei preposti siano scelte politiche gregarie che non devono infastidire i governi locali e che non rendono testimonianza come vorrebbe il Vangelo, che non hanno per esempio Don Bosco, che non intendono costruire, supportare, sostenere le comunità, né fare catechesi, né investire nei giovani che sono portati alla Comunione, alla Cresima, alla Confessione nell’ignoranza più bieca, senza alcuna preparazione e prendendo in giro Dio.
Mi pare che il Vangelo e la carità predicata abbia altri maestri e che francamente molti sacerdoti siano rassegnati a diventare piccole comunità insignificanti.
- Francesca
Cara Francesca, sollevi una serie di questioni che è impossibile esaurire in poche righe.
Premesso che non condivido l’analisi delle responsabilità, che tu indichi nei “preposti” (immagino i “sacerdoti rassegnati”, ma perché non mettere anche i catechisti, gli altri ausiliari del parroco, gli animatori dei gruppi giovanili, l’intero popolo di Dio?) non più all’altezza dei compiti loro affidati e della testimonianza che dovrebbero rendere, tocchi comunque il cuore della questione su cui tutta la Chiesa si sta interrogando: quale futuro? L’atmosfera e le attività parrocchiali che descrivi riflettono un’epoca ormai passata, di cui possiamo forse avere qualche nostalgia, ma sapendo bene che dobbiamo guardare con realismo al tempo presente come a una sfida: difficile, certo, e che a tratti magari ci può sembrare pure impossibile.
Una sfida, anzi una chiamata, affascinante, come quella di ogni generazione di credenti, consapevoli di essere sempre accompagnati dal Signore. Siamo in un tempo che ci chiama a uscire dalle nostre abitudini per affrontare un mondo sempre più indifferente al messaggio cristiano. Ci troviamo in uno straordinario (nel senso di “non ordinario”) momento di “cambio d’epoca”, come lo chiama papa Francesco, che ci deve aprire alla fantasia del nuovo.
La pandemia ha accelerato un fenomeno di abbandono che era già percepibile prima. Troppe cose sono cambiate in questi ultimi decenni, a partire dalla gente. Individualismo, aumento della mobilità, offerta di tante alternative, distrazioni di massa, difficoltà a rendere.