Nome in codice: TTIP. Ovvero: Transatlantic Trade and Investment Partnership. Forse il più controverso tra i trattati finora negoziati a livello internazionale tra le due sponde dell'Oceano Atlantico.
I rappresentanti del governo degli Stati Uniti da un lato e, dall'altro, della Commissione europea (che secondo le regole UE ha il potere di firmare accordi commerciali per conto degli Stati membri) si stanno confrontando ormai da tre anni. Obiettivo dichiarato: firmare un documento per costituire un'enorme area di libero scambio, che possa favorire i commerci trans-oceanici e stimolare la crescita delle economie degli Stati coinvolti. Ma l'eventuale accordo porterà davvero i vantaggi promessi? Sulle risposte alla domanda, le posizioni non potrebbero essere più distanti. Solo su un punto tutti gli analisti sono d'accordo: il TTIP rappresenterebbe la base per le regole globali sul commercio del XXI secolo.
UN TRATTATO, TRE MACROAREE
Definirlo solo un accordo commerciale sarebbe senza dubbio riduttivo. Che sia molto di più è testimoniato anche dalla procedura che dovrà, con ogni probabilità, essere seguita per ratificarlo: una volta approvato dalla Commissione Ue, servirà il parere favorevole del Parlamento europeo e, poi, la ratifica da parte di tutti i 28 Stati membri della Ue (o forse 27, se la settimana prossima nel Regno Unito prevarranno i 'sì' al referendum sulla Brexit). Un iter molto lungo e complesso usato che non sarebbe necessario nel caso di un trattato commerciale classico (in quel caso, basterebbe solo il voto favorevole della Commissione europea, previo parere vincolante dell'Europarlamento).
Tre sono dunque le categorie da ricordare quando si parla di TTIP: dazi doganali, cooperazione normativa e regole globali. Solo la prima riguarda espressamente il libero mercato e prevede l'abolizione dei dazi doganali tra Usa e UE per quasi tutti i prodotti entro i prossimi 7 anni.
Le trattative sulle norme puntano invece ad avvicinare le regole attualmente in vigore nelle due sponde dell'Atlantico su molti settori industriali per semplificare la vita alle imprese europee che vogliano allargare il raggio d'azione sul suolo Usa e viceversa.
C'è infine la parte del trattato che cerca di fissare regole che possano poi essere “esportate” a livello planetario, per imporre agli altri Stati il punto di vista euro-americano (evidente l'obiettivo di arginare il crescente potere della Cina sui commerci mondiali).
PERCHÉ SÌ? PERCHÉ NO?
Proprio sull'importanza strategica del TTIP puntano quanti guardano con favore a una sua approvazione: il trattato – fanno notare – creerebbe un'area di libero scambio che rappresenta più del 50% del Pil mondiale e oltre il 30% del commercio, per più di 800 milioni di consumatori coinvolti. Un colosso in grado di favorire le esportazioni delle imprese, aumentare i livelli di occupazione e dare un decisivo impulso alla ripresa economica e dei consumi.
Ma sui reali effetti, lo scetticismo dilaga. Il fronte dei “super-contrari” conta centinaia di sigle sindacali, ambientaliste, del Terzo settore, Ong operanti in tutti gli Stati UE (quelle italiane sono riunite dal 2014 nella “Campagna Stop TTIP Italia”).
Secondo loro, il TTIP produrrebbe vantaggi solo per i grandi gruppi multinazionali, in particolare quelli statunitensi che potrebbero giovarsi di un aumento delle esportazioni, mentre potrebbe essere un colpo mortale per le piccole e medie imprese, di cui sono ricchi molti Stati UE a partire dall'Italia.
L'agricoltura sarebbe uno dei settori più colpiti. «Il TTIP», spiega ad esempio il rapporto Contadini europei in svendita, redatto dall'organizzazione Friends of the Earth Europe, «aumenterà le importazioni dagli Stati Uniti, con un vantaggio per le grandi imprese Usa fino a 4 miliardi di euro mentre avrà pochi benefici per pochissimi grandi produttori europei. Il contributo dell'agricoltura al Pil europeo potrebbe diminuire dello 0,8% con conseguente perdita di posti di lavoro, mentre al contrario quello statunitense aumenterebbe dell'1,9%».
Inoltre, è diffusa la preoccupazione che il TTIP possa portare a un rafforzamento dell'agroindustria a tutto svantaggio delle colture agricole tradizionali, tipiche e meno impattanti sull'ambiente. «Molti produttori che operano in Europa», si legge nell'analisi, «perderanno le loro quote di mercato sostituiti dai produttori statunitensi. Il TTIP porterà poi a un'ulteriore intensificazione delle coltivazioni e della concentrazione nelle mani delle corporation dell'agricoltura sulle due sponde dell'Atlantico».
Ma non c'è solo il timore per il futuro dell'assetto industriale europeo. Molto diffuse le paure sulle conseguenze negative a livello ambientale e sanitario: «La sicurezza dei consumatori e la protezione dell'ambiente ne verranno danneggiate perché sia il governo Usa sia le organizzazioni di produttori statunitensi stanno apertamente chiedendo all'Europa di indebolire i sistemi di protezione in ambiti quali l'approvazione di cibo Ogm, le regole sulla sicurezza dei pesticidi, il bando sugli ormoni e i lavaggi anti-patogeni nella produzione di carni».
BRUXELLES TRANQUILLIZZA
Gli allarmi vengono in realtà rispediti al mittente dai negoziatori europei che si riuniscono periodicamente con le controparti a stelle e strisce in “round negoziali” (il prossimo, il 14°, è previsto a Bruxelles a metà luglio): «Su temi delicati come Ogm, pesticidi, carni agli ormoni e abuso di antibiotici animali abbiamo chiarito fin da subito ai rappresentanti del governo statunitense che le posizioni tra noi e loro sono talmente distanti che non ha senso nemmeno iniziare a parlarsi», spiega Luca De Carli, vicecapo unità alla Direzione generale Commercio della Commissione UE, che ricorda come tutte le proposte che la parte europea avanza ai negoziatori Usa sono consultabili da tutti i cittadini sul sito ad hoc predisposto dalla Commissione http://ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/index_it.htm).
Discorso analogo per i controversi “ISDS”, i tribunali commerciali che le lobby delle multinazionali Usa vorrebbero includere nel TTIP per proteggere gli investimenti internazionali delle imprese straniere contro le norme degli Stati che dovessero danneggiarle. I detrattori del TTIP osservano che con tale strumento verrebbero indebolite le legislazioni in materia di tutela sociale e ambientale presenti in molti Stati UE. Ma la Commissione UE non è dello stesso parere. E anche gli ISDS – giurano da Bruxelles – non verrebbero inclusi nel testo del TTIP. Promesse evidentemente insufficienti a placare i dubbi sull'effettiva utilità del trattato per aumentare il benessere dei cittadini europei.