Quando le telefoniamo è a Toronto, al Festival. Ha appena vinto il Leone d’argento - Gran Premio della Giuria alla Mostra del cinema di Venezia. Ma il cammino è appena iniziato. Maura Delpero è il genio dietro a Vermiglio, la rivelazione di questa stagione cinematografica. Racconta di una piccola comunità, Vermiglio appunto, durante la Seconda guerra mondiale. È un affresco corale, al femminile, che si concentra sulla famiglia Graziadei. I sogni di ogni giorno si mescolano a una realtà sempre più diffi cile. «Sono un po’ sballottata (ride, ndr). Ma sono davvero felice», spiega Delpero. Lei ha vissuto a Vermiglio? «No, sono nata a Bolzano. Vermiglio era il luogo in cui andavamo in vacanza. Vengo da una famiglia grande, dove gli zii erano molti. Poi negli anni sono migrati tutti verso la città. Vermiglio era dove giocavamo da piccoli, la casa dei nonni. Mi ricordo dolcemente le persone, la natura, il freddo, l’odore delle frittelle di patate di mia nonna. Ero molto legata a lei. Mi affascinava quella dimensione condivisa, dove c’erano tante storie da raccontare. Forse è anche per questo che mi sono innamorata poi del cinema». Nel suo discorso al Lido ha fatto riferimento proprio alla famiglia. «È vero, e ne fanno parte in modo allargato anche gli amici. Ci si sente protetti in ogni continente se si ha vicino chi si ama. Nel mio caso sono mio marito e mia figlia. A Venezia mi sono soffermata sul fatto che a volte ci viene chiesto di scegliere tra il lavoro e l’essere genitore. Non si trova mai un giusto equilibrio, è una ricerca costante. Tento di esserci agli appuntamenti importanti, per far coesistere diversi elementi. Ma è complesso. Il mio appello è a non pensare che l’armonia sia solo un problema delle donne, ma di tutti, anche dei miei colleghi maschi. Scontiamo una forte arretratezza culturale. Ci lamentiamo di un tasso di nascita basso, ma veniamo spinte a percepire i figli come una minaccia alla nostra carriera». Che cosa può fare la società? «Serve maggior responsabilità, educazione, sensibilità, a ogni livello. Bisogna insegnare il tempo della riflessione, della lettura, del pensiero, in questi decenni così aggressivi. È fondamentale la ricerca della bellezza, che si scontra con la velocità eccessiva di ogni giornata. Ci illudono che ogni momento debba dare capitalisticamente un risultato. Invece non è vero, serve un contraltare. E tutto questo è necessario impararlo da bambini, solo così si diventa tolleranti e si sconfigge il razzismo». La maternità è un tema ricorrente nei suoi film. Non a caso uno dei suoi titoli è Maternal. «Me ne sono resa conto a posteriori. Per anni ho pensato che fosse legato al mio percorso di crescita, allo scoprirsi donna. Forse invece è qualcosa di più lontano, che affonda le radici nel legame con mia madre, che è stato complesso. Ciò che accade durante l’infanzia ci accompagna sempre, perché è un momento in cui siamo indifesi. Sono cresciuta in un’epoca in cui si era molto soli, e gli uomini sparivano tutto il giorno per lavorare. Ho avuto comunque il privilegio di vivere in una realtà in pace. I miei genitori erano giovani, si amavano, ma erano un po’ persi, troppo indaffarati. Non avevano ancora una maturità emotiva. Alcune situazioni erano conflittuali. Avrei voluto tanti fratelli, invece non ne sono venuti, e mi sono trasformata in una bambina un po’ chiusa in sé stessa. La macchina da presa è stato il veicolo espressivo per rielaborare quello che avevo dentro». Poi da Bolzano si è trasferita.
Maura Delpero, 49 anni, vincitrice del David di Donatello come migliore regista
Adesso vive a Buenos Aires? «È vero. Sono sempre stata un po’ una trottola (ride, ndr). Prima Bologna, poi subito all’estero e adesso l’Argentina. Mi attraggono altre lingue, tradizioni. Buenos Aires la sento mia, da italiana avverto una grande coincidenza identitaria, la nostra comunità è forte. La apprezzo perché è umana, vivace, piena di filosofia». Questa filosofia nel suo cinema diventa spiritualità, e infine religione. Le suore sono personaggi sempre molto presenti. «In verità sono laica. Le mie zie erano molto legate alla Chiesa, e me lo hanno trasmesso. Desidero indagare il mistero della fede, come anche la preghiera, la clausura. Sono andata ad Assisi per incontrare i frati francescani, per comprendere meglio le loro scelte. Uno di loro mi ha colpito nel profondo. Mi ha fatto capire che io non potevo capire. Che la serenità a cui lui era giunto non era comparabile a nessuna esperienza terrena. E che mi dovevo fidare».Vorrebbe rappresentare l’Italia agli Oscar? «Certo, mi farebbe piacere. Vermiglio sarebbe un bel biglietto da visita anche oltreoceano. Soprattutto perché invita a dare il giusto valore alle cose in questo contemporaneo così tumultuoso».