La famiglia italiana si sta restringendo, ci informa l’Istat nell’Annuario statistico 2019: “Sono sempre più numerose e sempre più piccole”. In una parola, frammentate. Un pulviscolo di anime sempre più indifese alle prese con le gioie e le difficoltà quotidiane, con i frangenti della vita. Venticinque milioni e settecentomila nuclei la cui media dei componenti è passata da 2,7 (media 1997-1998) a 2,3 (media 2017-2018), soprattutto per l'aumento delle famiglie uni personali – i “single” - che in venti anni sono arrivate al 33,0% nel 2017-2018. Ovvero un terzo del totale delle famiglie.
Il boom delle famiglie “single” (che in verità non dovrebbero nemmeno definirsi famiglie, a ben vedere è una contraddizione di termini) è dovuto a fattori diversi e concomitanti: l’allungamento della vita media, in primis, con una quota crescente di persone anziane che perdono il marito o la moglie e vivono necessariamente sole, ma anche la rottura di precedenti legami coniugali, ad esempio i padri separati single per necessità (spesso con non poche difficoltà economiche). Ma c’è anche – ed è forse il dato più preoccupante - la difficoltà o la non volontà ad allacciare relazioni stabili e durature da parte di tanti giovani e meno giovani.
Una società di single è una società destinata a morire, perché è sinonimo di denatalità. Negli altri Paesi stanno correndo ai ripari. Noi siamo immobili, con il nostro primato di Stato dell’Unione più vecchio e meno prolifico, mentre sprofondiamo nelle sabbie mobili. Che ha fatto la politica di fronte a tutto questo? Ha riconosciuto il problema, ha parlato all’unisono in Parlamento di assegno unico per la famiglie (250 euro al mese per figlio fino a 18 anni), è ed è già un passo avanti, in questo inverno demografico che si fa sempre più cupo. Poi però in questa manovra non se n’è fatto niente. Mancano i soldi, un conto è enunciare i principi un altro trovare risorse. Eppure chi fa un figlio in Italia oggi va premiato per diversi motivi: perché fornisce linfa al Paese, perché pagherà le pensioni, il Welfare. Perché contribuisce a rafforzare un tessuto in cui si trasmettono dei valori autentici, come la fratellanza, l’affetto, il sostegno reciproco, la solidarietà, la capacità di “stare al mondo”. Senza famiglia non c’è niente, i padri costituenti lo sapevano bene e lo hanno scritto a chiare lettere (all’articolo 29 della nostra Carta), c’è solo uno scenario freddo, orwelliano, totalitario e privo di futuro.
Naturalmente il problema non è solo economico, ma anche culturale. Il combinato disposto (lo aveva già intuito Pasolini) è micidiale. Quante sono le agenzie educative, gli scrittori, gli intellettuali, i filosofi, i politici, gli opinion maker, i giornalisti, i registi disposti a mettersi in gioco per raccontare la bellezza della famiglia, che non è una palla al piede ma un’avventura meravigliosa? “Ogni anno di ritardo nella promozione di autentiche politiche pro-famiglia che accumuliamo rende sempre più vicino il punto di non ritorno”, ha scritto con parole acute il sociologo Pietro Boffi.
L’Italia sta diventando un grande cimitero. Nel decennio, 2008-2018, i nuovi nati sono diminuiti di circa 137.000 unità, passando da quasi 577.000 a 440.000; nel 2018 in numero dei morti ha superato i nati di ben 193.386 unità. A rinfoltire le fila potrebbero essere gli stranieri (anche se i dati ci dicono che gli immigrati tendono ad allinearsi al modello italiano e a divenire meno prolifici in una generazione). Ma in termini assoluti da almeno un decennio i nati con almeno un genitore straniero sono uno su cinque. Ma noi continuiamo a tenere chiusi i porti e a sentirci minacciati dall’invasore. Non si tratta di buttarla in politica, bensì di guardare in faccia la realtà. La seconda causa di povertà in Italia, dopo la perdita del lavoro è la nascita di un figlio. Eccole, le due priorità di questo Paese. La diminuzione dei matrimoni e delle nascite inciderà profondamente sul futuro. Ci vuole lungimiranza. Perché a furia di non essere lungimiranti ci stiamo ritrovando in mezzo all’emergenza, il futuro è diventato presente.