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Una casa per i bambini albini della Tanzania

09/01/2020  Africani ma con la pelle bianca, i piccoli subiscono le peggiori violenze. Per offrire loro una vita migliore Franco Testa ha creato il Villaggio San Francesco (nella foto qui sopra: Franco Testa, 58 anni, in Tanzania)

Hanno grandi occhioni e labbra carnose, tipici della loro etnia. Sono infatti africani. E bianchi. Troppo bianchi per essere considerati appartenenti al popolo tanzanese. Così i piccoli albini diventano oggetto di curiosità e di desideri malsani. Perseguitati sin dai primi giorni di vita, vengono rapiti e sottoposti ad amputazioni di varie parti del corpo, utilizzate poi come amuleti.

Sono creature fragili e indifese, delicate a causa dell’albinismo, anomalia congenita (una mancanza totale o parziale di pigmentazione della pelle), a cui si aggiunge lo shock dell’abbandono dei genitori. Per alcuni di loro, però, si apre una nuova vita in una struttura protetta, dove insieme ad altri bimbi, orfani o abbandonati per svariate ragioni, sono curati, coccolati e amati dalle mani e dai cuori delle suore Piccole missionarie eucaristiche. Il loro lavoro d’amore è perenne, non conosce orari, giorni, periodi dell’anno; le suore sono le mamme di ogni bimbo che bussa alla porta del Villaggio San Francesco, a Bunda in Tanzania, conosciuto anche come il villaggio di Franco Testa.

Un operaio dal cuore grande

Franco è stato infatti l’ideatore di questo edificio e di molte altre costruzioni destinate al popolo africano. Cinquantottenne semplice operaio del Comune di Pozzuoli, padre e nonno, Franco è il riferimento dei 47 bimbi che vivono e crescono in questa superficie di 3.300 metri quadri; un ex terreno divenuto baracca, poi agglomerato di case e infine villaggio.

Da dove sia partito il progetto e come sia arrivato in Tanzania lo racconta proprio lui, con gli occhi malinconici di chi non vede l’ora di tornare «lì, a casa»: «Sono trascorsi almeno quattordici anni da quando l’Africa è diventata la mia seconda terra, forse la prima in realtà», confida il puteolano, fondatore dell’associazione benefica AfricainTesta. «Avevo il sogno di andare in Africa perché sentivo tanti racconti di bisogni, povertà, ma non credevo certo che sarebbe avvenuto tutto questo. Ricordo che ero affascinato dai racconti di padre Amos Kisusi, africano, che svolgeva il suo ministero di prete a Pozzuoli, nella mia città d’origine. Un giorno gli confessai questo desiderio. Sono partito con lui per un’esperienza di pochi giorni e al rientro mi sono domandato cosa facessi altrove. Il mio posto era lì, ad aiutare chi non aveva niente, a  prendermi cura di chi non poteva ricevere nessuna attenzione. Ma dovevo trovare dei fondi per garantire continuità al progetto».

Così Testa comincia a raccogliere fondi da destinare all’Africa. «Poi ripartivo per portare avanti la costruzione di fabbricati, alcuni donati alla diocesi di Mwanza», continua Franco, pieno di commozione. Maggiore era la conoscenza di quei luoghi e maggiore diventava la volontà e la determinazione di contribuire al benessere della popolazione.

Così quando padre Amos viene richiamato in Tanzania dal vescovo, Franco Testa prende un impegno con lui, suo ispiratore, e con la sua Africa: avrebbe acquistato un terreno ed edificato un vero e proprio villaggio. Partiva da zero però, non aveva soldi e neppure idee. Solo il desiderio di aiutare. L’incontro i tra i due sul da farsi durò pochi minuti e un paio di battute. E così ebbe inizio una grande impresa.

L’amore guarda avanti

«Ricordo che guardai padre Amos, e gli dissi: tu prega e io faccio soldi». Ed è andata così. «Sono aumentate le donazioni di benefattori italiani che intanto, nel tempo, hanno seguito il progetto, attraverso i miei racconti, le foto, i video girati sul posto». Il cinque per mille è poi una grande fonte di sostentamento per l’associazione: «Una base di partenza cui si aggiungono i proventi ricavati dal nostro concerto annuale, un intreccio di musica, show e racconti sull’Africa, che quest’anno si è tenuto il 3 gennaio al Teatro Palapartenope di Napoli, raccogliendo oltre duemila persone».

Franco, insomma, è sempre in moto per l’Africa e non può pensare a un altro stile di vita. Il perché lo motiva così: «Se conosci dei bimbi che non hanno nessuno al mondo che possa prendersi cura di loro, tu non pensi a dargli qualcosa per l’oggi. Pensi a costruire per loro un futuro, anche per quando sarai tu a non esserci più».

 
 
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