Se l’assemblea non acclama dopo le parole della consacrazione, non conclude la preghiera eucaristica con l’amen e il sacerdote risponde al posto dei fedeli che senso ha la Messa dialogata?
SERGIO B.
È trascorso più di mezzo secolo da quando Pio XII nel 1958 e poi più ampiamente la riforma liturgica del Vaticano II (1962-1965) hanno restituito alla Messa la sua originaria natura dialogica. Non è un semplice espediente pedagogico, ma un’esigenza teologica. L’Eucaristia, infatti, è il momento culminante del dialogo nuziale fra Cristo e la sua Chiesa. Nella Messa non c’è uno (il sacerdote) che fa tutto e gli altri che stanno a guardare come muti e inerti spettatori. Sarebbe un controsenso. L’intera assemblea, ministri e fedeli insieme, formano l’unico soggetto celebrante dove, fatte le debite proporzioni, lo Sposo e la Sposa diventano sacramentalmente un’unica carne, un’unica reale presenza (cfr. SC 7). Se dopo tanti anni ci sono ancora assemblee eucaristiche senza una vera partecipazione attiva, non solo interiore e individuale ma piena e comunitaria, c’è da porsi serie domande sulla formazione dei fedeli, ma anche sul compito dei loro pastori.