Antonio si è tolto la vita a soli 15 anni. «ha trascinato in
quella tomba anche la mia anima», racconta la mamma parlando del suicidio,
cinque anni fa, del suo primogenito. Un dolore che viene raccontato nella
veglia voluta da papa Francesco per “asciugare le lacrime”. «La Chiesa ci ha
presidiati, la Chiesa ci ha amati, l’intervento di Dio ci ha aiutati a non
impazzire», dice mamma Giovanna, spiegando concretamente cosa significhi quel
«consolare gli afflitti» che lei ha trovato nell’associazione “Bimbi in cielo”
e in tante «carezze di Dio». Parla anche il fratello Raffaele, in piedi accanto
al padre, mentre la sorellina più piccola, Chiara, porta una candela davanti al
reliquiario che contiene le lacrime della Madonna di Siracusa. La famiglia
Pellegrino è la prima a dare testimonianza del proprio dramma e del dolore,
consolato da Dio, che non smette di fare male, ma che non cede alla
disperazione.
Dopo di loro la testimonianza di Felix Qaiser, giornalista
pakistano appartenente alla minoranza cattolica presente nel Paese, rifugiato
politico, arrivato in Italia per mettere al sicuro la sua famiglia dalle
persecuzioni. E infine quella di Maurizio Fratamico con il fratello gemello Enzo.
Maurizio racconta la sua smania di successo, fama e divertimento e poi anche il
suo smarrimento del senso della vita, «una solitudine che mi stava facendo
impazzire». «Ho pensato di farla finita», racconta Maurizio. Poi la conversione
del fratello gemello, Enzo, e la sua gioia contagiosa che rimette in piedi
anche la sua vita. Così, dai villaggi turistici, Maurizio passa a dare il suo
tempo «a un altro villaggio», alla comunità di Chiara Amirante, Nuovi Orizzonti e si impegna con i giovani che si erano persi dietro le
droghe e le dipendenze.
Il Papa, in una basilica San Pietro gremita, ascolta e
abbraccia. Poi prende la parola, invoca lo Spirito Santo, il Consolatore, che,
come promesso da Gesù, non ci lascia soli «in
ogni situazione della vita».
«Nei momenti di tristezza»,
dice il Papa, «nella sofferenza della malattia, nell’angoscia della
persecuzione e nel dolore del lutto, ognuno cerca una parola di consolazione.
Sentiamo forte il bisogno che qualcuno ci stia vicino e provi compassione per
noi. Sperimentiamo che cosa significhi essere disorientati, confusi, colpiti
nel profondo come mai avevamo pensato. Ci guardiamo intorno incerti, per vedere
se troviamo qualcuno che possa realmente capire il nostro dolore. La mente si
riempie di domande, ma le risposte non arrivano».
Il Papa parla della solitudine,
della tristezza, delle «lacrime che vengono versate a ogni istante nel mondo» e
che «insieme formano come un oceano di desolazione, che invoca pietà,
compassione, consolazione».
E le lacrime più amare «sono
quelle provocate dalla malvagità umana: le lacrime di chi si è visto strappare
violentemente una persona cara; lacrime di nonni, di mamme e papà, di bambini…».
E anche se non troviamo un
senso al dolore di tanti, in particolare dei bambini, la certezza è che Gesù
non ci lascia soli, che lui stesso sa cosa significhi piangere. Papa Francesco
ricorda una delle pagine più commoventi del Vangelo, quando Gesù piange per la
morte di Lazzaro. «Le lacrime di Gesù», spiega Bergoglio, «hanno sconcertato
tanti teologi nel corso dei secoli, ma soprattutto hanno lavato tante anime,
hanno lenito tante ferite. Anche Gesù ha sperimentato nella sua persona la
paura della sofferenza e della morte, la delusione e lo sconforto per il
tradimento di Giuda e di Pietro, il dolore per la morte dell’amico Lazzaro».
Ma se Gesù piange, spiega il
Papa, «anch’io posso piangere sapendo di essere compreso. Il pianto di Gesù è
l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel
pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del
disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose. Mi
scuote per farmi percepire la tristezza e la disperazione di quanti si sono
visti perfino sottrarre il corpo dei loro cari, e non hanno più neppure un
luogo dove poter trovare consolazione. Il pianto di Gesù non può rimanere senza
risposta da parte di chi crede in Lui. Come Lui consola, così noi siamo
chiamati a consolare».
Ed è la preghiera, la vera
medicina per la nostra sofferenza. Come Gesù che invoca il Padre, «anche noi,
nella preghiera, possiamo sentire la presenza di Dio accanto a noi. La
tenerezza del suo sguardo ci consola, la forza della sua parola ci sostiene,
infondendo speranza». Perché, ricorda il Papa citando san Paolo, nulla ci potrà
separare dall’amore di Dio, non «la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione,
la fame, la nudità, il pericolo, la spada?» perché «in tutte queste cose noi
siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti
persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né
avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà
mai separarci dall'amore di Dio».
Al termine della veglia il Papa ha donato l'Agnus Dei, un oggetto di devozione a forma di ovale con il simbolo del Giubileo, a
dieci persone, in rappresentanza di chi soffre.
Tra loro la presidente dell’associazione “Figli nel
Cielo” e dell’associazione “Vittime della Strada”, un giovane diacono rwandese
che ha perso molti dei suoi familiari durante il genocidio del 1994, un ex senzatetto, un uomo vittima del gioco d’azzardo. Quest'ultimo, Agostino, accompagnato da monsignor Alberto D'Urso, segretario nazionale della fondazione antiusura ha ricordato che «la tristezza che viene dall’usura e dall’azzardo annientano la persona in tutta la sua essenza, fisica, morale e psicologica. Papa Francesco ci ha ricordato che abbiamo bisogno della consolazione che viene dal Signore e dalla società, quella che ho trovato nella Fondazione Antiusura di Bari quando ho bussato alla sua porta. Ero in un momento in cui pensavo di non avere più una vita e un futuro, ho trovato invece tanti volontari, avvocati, commercialisti e altri professionisti che mi hanno dato la consolazione di essere ancora una persona degna di essere amata e aiutata a ritrovare la strada della vita che a causa del gioco stavo perdendo».
Dal canto suo, Roberto Mineo, presidente del Ceis, la comunità fondata da don Picchi che papa Francesco ha visitato a febbraio, ha messo l'accento sulle dipendenze «le nuove prigionie di cui l’uomo è schiavo», come è stato detto durante la veglia di preghiera. «Non possiamo che essere grati al Papa per questo suo costante impegno nel ricordare al mondo intero il dramma di chi è schiavo delle dipendenze», ha detto Mineo ricordando come in Italia «c’è un drammatico ritorno dell’eroina iniettata in vena. A Roma, in particolare, l'aumento dell’eroina è del 37 per cento rispetto al dato di due anni fa. C'è bisogno di un maggior coordinamento tra le istituzioni e chi si occupano sul campo del problema. Non possiamo giocare con il futuro dei nostri giovani».