Parla del gioco d’azzardo, il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. Una dipendenza subdola che «in periodi difficili dell’esistenza» si fa strada «tra le fasce più fragili della popolazione» che si illudono «di star meglio, di essere felici o di essere vincenti». Nell’avviare i lavori del Consiglio permanente della Cei, che affronteranno soprattutto il tema della prossima sessione del cammino sinodale, l’arcivescovo di Bologna traccia, a partire dall’apertura della Porta Santa, motivi di speranza e di disperazione. Povertà, migrazioni forzate, carenza di abitazione… Motivi che possono seminare sfiducia. Per questo «la scelta, davvero provvidenziale, del Giubileo, del tema giubilare e le parole del Papa, hanno colto - mi pare - una sete diffusa tra tante persone, che non trovano o non sanno come cercare risposte. È vero che facilmente vince la rassegnazione, ma in realtà, lo sappiamo, in ogni uomo c’è una speranza e non può vivere senza risposta».
Il cardinale ricorda «l’inaugurazione della Basilica di Notre Dame a Parigi dopo il terribile incendio: questa ha analogamente rappresentato un segno, rivelando che si è attratti dalla bellezza della liturgia, dalla profondità della storia, da parole che vanno al di là della banalità di tanti scenari esistenziali di ogni giorno e che scendono nel profondo del nostro presente e nell’interiorità della persona». Parla delle «Chiese dell’ex Unione Sovietica che hanno resistito in decenni di terribile persecuzione antireligiosa e di dittatura comunista (con tanti martiri), solo celebrando la liturgia nello spazio delle chiese rimaste aperte» per dire, con le parole di padre Tavrion, un monaco russo che aveva passato tanti anni nel gulag sovietico che «Se noi non mostriamo la bellezza, la gente non verrà da noi». Nel deserto, ribadisce «c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indichino la via verso la Terra promessa e così tengono viva la speranza».
Il cammino non è facile, ma bisogna tornare a essere Chiesa profetica, che significa «una Chiesa che parla, comunica, ascolta, interroga e risponde» facendo si, come auspicava papa Montini,«che il messaggio cristiano ritorni nella circolazione del discorso degli uomini e delle donne del proprio tempo, che inquieti le coscienze, che tocchi i cuori, che non sia emarginato dal quotidiano o dalla cultura».
Certo le fragilità non mancano. Ma il cardinale, pensando soprattutto ai giovani, sottolinea che «con la loro domanda spirituale e di senso, con le sofferenze ma anche con l’ansia di futuro, devono poter incontrare la bellezza del sogno evangelico». Questa è la ragione del cammino sinodale: far circolare, senza fare proselitismo, «il messaggio cristiano nell’umano discorso tra tutti. Questo interpella soprattutto i laici nella vita quotidiana, nell’amicizia con ognuno, nel relazionarsi quotidiano. Coinvolge la Chiesa a intervenire nelle diverse occasioni di dibattito e di incontro. Tanta gente che cerca senso e risposte - una realtà grande che non va sottovalutata - ha bisogno di trovare interlocutori. E questi sono i laici nella vita quotidiana. È il loro grande compito».
Ma bisogna partire soprattutto dagli ultimi, dalla «testimonianza eloquente dei poveri. Papa Francesco ha tante volte insistito sulla responsabilità di non sfuggire i poveri, di toccarli; ciò vuol dire parlare con loro e anche costruire, nell’aiuto e nella solidarietà con loro, uno scambio e un’amicizia. Non sono una categoria. Sono il nostro prossimo e noi lo siamo per loro. Troppo spesso abbiamo istituzionalizzato il servizio ai poveri (che certamente richiede un livello di organizzazione e professionalità), ma troppo poco ci siamo avvicinati fisicamente e umanamente ai poveri. Non basta contribuire economicamente alle istituzioni preposte. Tutti siamo chiamati a essere amici dei poveri e anche i nostri percorsi di catechesi non possono non educare all’amore per i poveri».
Il cardinale invita, nell’anno giubilare, a individuare «i piccoli delle nostre Diocesi e metterci al loro servizio, perché cresca in loro la speranza e si prepari così anche il Regno di Dio. Penso alle persone con disabilità e alle loro famiglie. Penso alle vittime di abusi, la cui sofferenza portiamo nel cuore e ci impegna con rigore nel contrasto e nella prevenzione. Penso ai carcerati». Ma anche a «programmi creativi e stabili per quanti vivono difficoltà, anche in collaborazione con quanti condividono la nostra stessa sensibilità. È in questo senso che guardiamo con simpatia agli sforzi per una rinnovata presenza dei cristiani nella vita politica del Paese e, mi auguro, dell’Europa, a partire dalla Settimana Sociale di Trieste».
Parla delle guerre, partendo dagli 80 anni dalla fine della «Seconda guerra mondiale, dalla cui tragedia nacque la scelta di immaginare la pace costruendo l’Europa i cui principi fondativi vanno difesi e rilanciati. La pace è pensarsi insieme e lo scandalo della guerra e della guerra in Europa deve impegnarci tutti a cercare le vie, possibili, del dialogo, per una pace giusta e duratura». E per questo invita «la Caritas e quanti desiderano aiutare il popolo ucraino a garantire anche quest’anno, come nel 2024, accoglienza ai bambini orfani o colpiti dalla guerra durante le vacanze estive».
Plaude alal tregua tra Israele e Palestina e spiega che «la Chiesa in Italia è vicina a Israele perché possa riabbracciare finalmente i propri cari rapiti, avere la sicurezza necessaria e continuare a lottare contro l’antisemitismo che si manifesta dentro forme subdole e ambigue. La recente Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei ha avuto come tema proprio il Giubileo, nella consapevolezza che solo l’amicizia e il dialogo continueranno a rendere saldo il nostro rapporto per quanto ci riguarda costante e affatto indebolito. Già in passato sono intervenuto con chiarezza condannando fenomeni di risorgente antisemitismo, mai accettabili». Ma «la Chiesa in Italia è vicina anche ai palestinesi e alla loro sofferenza perché si possa finalmente avviare un percorso che permetta a questo popolo di essere riconosciuto nella sua piena dignità e libertà».
Inoltre il Giubileo, dice il cardinale, «può diventare una occasione per tornare a bussare alla porta dei Paesi ricchi, compresa l’Italia, perché rimettano i debiti dei Paesi poveri, che non hanno modo di ripagarli. Qui vivono milioni di persone in condizioni di vita prive di dignità. Si badi che i debiti degli Stati sono talora contratti con privati: la Chiesa non può non far sentire la sua voce perché si stabilisca una equità sociale e i pochi straricchi non profittino della loro posizione di vantaggio per influenzare la politica per i propri interessi. Senza dimenticare, come ha recentemente ricordato Papa Francesco, che c’è “una nuova forma di iniquità di cui oggi siamo sempre più consapevoli: il “debito ecologico”, in particolare tra il Nord e il Sud. Anche in funzione del debito ecologico, è importante individuare modalità efficaci per convertire il debito estero dei Paesi poveri in politiche e programmi efficaci, creativi e responsabili di sviluppo umano integrale”».
Volgendo lo sguardo all’Italia il cardinale Zuppi riflette sul «lavoro povero e precario, che favorisce peraltro sacche di illegalità, la difficoltà per tanti di arrivare alla fine del mese e di poter immaginare il futuro. Strettamente legata alla famiglia e alla natalità è la questione della casa che richiede certamente uno sforzo straordinario per garantire prezzi d’acquisto accessibili e garanzie adeguate agli affittuari. Sul fronte dell’immigrazione, nonostante la riduzione degli sbarchi (secondo i dati recenti, nel 2024 sono sbarcati sulle coste italiane 66.317 migranti, il 58% in meno rispetto ai 157.651 arrivati nel 2023), rimane elevato il numero di vittime di naufragio (circa 1.700 morti in mare, 1 ogni 40 arrivi, superiore ai morti nella rotta del Mediterraneo occidentale che è di 1 ogni 36). È evidente la necessità di non indebolire la cultura dei diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, offrendo regole di diritti e doveri sicuri, flussi e canali che permettano l’ingresso dei necessari lavoratori, che non sono mai solo braccia, ma persone che richiedono politiche lungimiranti di integrazione. L’esperienza dei corridoi umanitari e lavorativi è da valorizzare perché garantisce dignità e sicurezza a chi fugge da situazioni drammatiche». Ricorda l’impegno della Chiesa per tenere «insieme la richiesta di sicurezza, il desiderio di solidarietà e l’esigenza di andare incontro ai bisogni delle persone migranti. Insomma: liberi di partire, liberi di restare e liberi di tornare, uscendo finalmente da una logica esclusivamente di sicurezza, questione evidentemente decisiva, per rafforzare la cooperazione, in particolare con l’Africa». Continuando a guardare al futuro con la «speranza che non delude».