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Gianluca Dotti
Nel corso di quest’estate, le cronache hanno riportato al centro dell’attenzione pubblica il tema dell’idoneità alla guida in età avanzata. In più di un caso, automobilisti ultraottantenni hanno imboccato autostrade contromano o commesso altri errori clamorosi, provocando incidenti mortali oppure con feriti gravi, come è accaduto il 27 luglio scorso sull'A4 Torino-Milano, nel Novarese, al confine con la Lombardia, quando un anziano di 82 anni era entrato in senso opposto a un casello e scontrandosi con un'auto proveniente dalla direzione opposta è morto provocando il decesso di altri 3 viaggiatori. Poi, quattro giorni dopo, un altro over 80 è entrato sull'A32 Torino Bardonecchia nel senso errato finendo per scontrarsi frontalmente con un'altra auto e causando il decesso della passeggera che viaggiava con lui.
Al netto dell’impatto emotivo, la questione solleva interrogativi reali e complessi: in che modo è possibile garantire la sicurezza di tutti gli utenti della strada, senza comprimere arbitrariamente il diritto alla mobilità degli anziani? Non ha senso affrontare il tema con approcci ideologici o rigidi, avverte Marco Trabucchi, psichiatra, geriatra e presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria. «Sarebbe ingiustificato escludere dalla guida tutti gli anziani per principio – osserva – e chi la fa troppo semplice è un cialtrone. L’età avanzata, da sola, non è un indicatore clinicamente valido. Il vero nodo è costruire strumenti migliori per valutare in modo scientificamente rigoroso le condizioni psicofisiche di ciascuna persona, senza cedere né al lassismo né al pregiudizio».
Secondo Trabucchi, che in questo periodo sta dedicando molte energie al tema, serve una revisione profonda dei criteri di rinnovo della patente, indicativamente per chi ha più di 75 anni. Le attuali visite mediche non sono sufficienti. «Oggi parliamo di controlli che durano pochi minuti, non voglio dire superficiali ma senz’altro non indagano a sufficienza aspetti essenziali come la memoria operativa, i riflessi e l’attenzione, oltre naturalmente a udito e vista. Un breve screening neuropsicologico, già sperimentato in altri contesti, permetterebbe di cogliere deficit nascosti che aumentano il rischio di errore alla guida». Le evidenze statistiche supportano la necessità di un intervento.
Secondo i dati Istat e Aci relativi al 2023, tra settantenni e ottantenni si sono registrati rispettivamente 2.312 e 2.190 feriti gravi in incidenti stradali. Ancora più significativo è il dato sul tasso di mortalità: la classe 85-89 anni ha fatto registrare il valore più elevato in assoluto, con 103,8 vittime ogni milione di abitanti, superando di venti punti persino i ventenni.
Nella fascia degli anziani, il problema non è legato all’imprudenza, ma a un declino progressivo – spesso subdolo – delle capacità sensoriali e cognitive, a cui si aggiunge il punto particolarmente critico della variabilità delle performance .
«La stessa persona può guidare bene la mattina e perdere lucidità nel pomeriggio, complice il caldo, una discussione, una difficoltà digestiva o l’interazione con un farmaco – spiega Trabucchi –. La medicina geriatrica ci insegna che la stabilità delle funzioni non è garantita. Per questo servono controlli seri, ma anche flessibili nel tempo, ma anche la consapevolezza che non si può eliminare del tutto il rischio e avere un controllo totale».
Anche Asaps, l’Associazione Amici della Polizia Stradale, ha segnalato una crescita dei casi di guida contromano imputabili ad anziani: il 14% dei casi totali, che sale al 32% per quelli con esito mortale. La situazione si è aggravata nelle ultime settimane, con punte superiori al 60%, un’anomalia che richiede verifiche puntuali, ma che ha senz’altro nel caldo estivo una prima possibile spiegazione.
Ma c’è un altro fattore da considerare, spesso trascurato: l’effetto sistemico della revoca della patente. In molte aree del Paese, specie quelle interne o rurali, l’automobile è l’unico mezzo per accedere ai servizi sanitari, fare la spesa, recarsi alle funzioni religiose, partecipare alla vita sociale.
«In contesti dove i trasporti pubblici sono inefficaci – afferma Trabucchi – togliere la patente significa, di fatto, isolare la persona. Si moltiplicano le difficoltà, e il rischio di un declino accelerato aumenta sensibilmente».
Il tema riguarda anche i mesi estivi. Proprio d’estate, molti anziani restano soli in città, mentre figli e familiari si allontanano per le ferie. «È proprio in questi momenti – avverte Trabucchi – che crescono i rischi, anche per effetto delle alte temperature. La disidratazione, comune in età avanzata, può alterare temporaneamente le funzioni cognitive e compromettere la sicurezza alla guida».
Tra le soluzioni più discusse, l’introduzione di limitazioni progressive alla guida: vietare l’accesso alle autostrade o la circolazione in ore notturne per chi supera una certa soglia d’età o presenta deficit lievi. Questo approccio è già in uso in alcuni Paesi europei e mira a trovare un equilibrio tra autonomia e tutela. Il ruolo della famiglia e del medico di medicina generale diventa in questo quadro decisivo. I familiari, in particolare, sono spesso i primi ad accorgersi dei cambiamenti comportamentali o cognitivi.
Per Trabucchi, è essenziale «educare le famiglie ad affrontare la questione senza reticenze, ma con realismo. Non serve allarmismo: insieme alla sicurezza stradale, si tratta di costruire un ambiente dove l’anziano possa continuare a vivere bene, anche qualora si renda necessario smettere di guidare».



