La tragedia che si sta compiendo in Darfur, la parte occidentale del Sudan, ci dimostra che le manifestazioni di sdegno e di solidarietà contro le guerre e le discriminazioni sono a orologeria, di parte, e talvolta pilotate.

Nessun corteo, nessuna spedizione umanitaria, nessun presidio davanti alle ambasciate e alle sedi delle grandi istituzioni internazionali, che tacciono. A parte dichiarazioni di principio, non c’è un’agenda né dell’Onu, né dell’Unione Europea e se altri attori si interessano eccome delle vicende di quella terra infelice, sono l’Iran, la Turchia, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, principale sponsor delle milizie islamiste dell’Rsf che hanno occupato la capitale, El Fasher, facendo strage di civili.

Forse si possono pressare questi Paesi comminando sanzioni, chiudendo gli scambi commerciali, per esempio di armi, si può collaborare con l’Unione Africana mettendola alle strette, si può agire sul governo sudanese e sui suoi vicini?

Si sta compiendo sotto i nostri occhi ciechi la più grande crisi umanitaria al mondo, la più grande crisi di esuli al mondo, per ora già 12 milioni di sfollati. I morti non possiamo contarli, ma abbiamo visto i cumuli di corpi ammassati e il sangue, dalle scioccanti fotografie scattate dall’alto.

Sono le sole immagini, non ci sono réportage, solo poche voci di testimoni e – tra questi – preti e suore coraggiosi che non hanno abbandonato la loro gente, come i comboniani, e i medici eroici Senza Frontiere che con il nulla a disposizione rischiano la vita per salvare vite.

Senza immagini, le guerre non esistono. Senza immagini, i social non girano e l’indignazione non sale. E poi disturba parlare di odio etnico e religioso: meglio, come al solito, ridurre i conflitti ai soli interessi economici.

Che ci sono, il Sudan è ricco di oro, minerali, terre rare. Ma l’economia non spiega le violenze, i massacri, gli stupri di massa, per annientare una parte di quell’umanità. Qui sì che si tratta di genocidio, senza poter disquisire sul termine.

In un Paese di neri, hanno vinto gli arabi, di pelle chiara e i neri vengono uccisi al grido di «i vostri figli saranno arabi». I neri sono animisti o cristiani, e per questo vengono abbattute le chiese, distrutti i simboli sacri, impedite le liturgie, violentate le donne.

Questo dramma va avanti da due anni, ed è la replica terribile di una guerra che ha devastato il Paese all’inizio del secolo. Allora se ne parlava di più, oggi siamo distratti e certamente pressati da due conflitti a noi più vicini, sul fronte ucraino e quello in Terrasanta.

Ma gli uomini sono tutti uguali, e un bambino palestinese, ucraino, sudanese hanno lo stesso valore. So bene che il sentimento prevalente è spesso scacciare l’orrore, per non soccombere all’impotenza. Ma qualcosa possiamo fare.

Conoscere, informarci, far sapere, discutere, ed è compito dei politici, dei giornalisti, e di tutti noi, perché almeno la luce della nostra pietà e delle nostre preghiere sia un segno della nostra residua umanità. L’indifferenza è sempre complice.


In collaborazione con Credere

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