Stop auto inquinanti 2035

L’iter legislativo non è ancora formalmente chiuso: dopo il voto dell’Europarlamento del 14 febbraio 2023, data che rimarrà nella storia dell’automobile, che mette al bando le vetture con propulsione endotermica a partire dal 2035, dovrà essere approvato anche dal Consiglio Ue, che riunisce i primi ministri dei Paesi aderenti, e dopo questo ulteriore snodo essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea. Ma ormai è tutto deciso: stop a benzina e diesel per auto e furgoni nuovi nel 2035, con un target intermedio al 2030, termine entro il quale i costruttori dovranno ridurre del 55% le emissioni delle nuove auto immesse sul mercato e del 50% quelle dei nuovi veicoli commerciali. In soldoni, significa che dal 2035, in tutti i 27 Paesi dell'Unione europea, non potranno più essere prodotte e immatricolate auto con motore a combustione, ossia alimentate con benzina e diesel. Un provvedimento che ha visto la contrarietà del Governo italiano: dai banchi di Strasburgo hanno espresso compatta la loro opposizione con il voto contrario tutti gli eurodeputati di Fratelli d'Italia, Forza Italia e Lega. Una contrarietà della maggioranza di Governo, tuttavia, che non ha cambiato il corso degli eventi: gli eurodeputati dei 27 Paesi hanno votato sì con 340 voti a favore, 279 contrari e 21 astensioni. Confermando un provvedimento che all'Italia sorride soltanto per la deroga di un anno concessa ai produttori di auto di lusso come Ferrari, Lamborghini e Maserati.

Questa transizione ecologica decisa dal Parlamento europeo – di là dalle proteste dell’attuale Governo italiano che si dice preoccupato per la tenuta dei posti di lavoro nelle fabbriche automobilistiche italiane, che di fatto ora sono sotto il controllo operativo di Stellantis – certamente comporta alcune conseguenze anche sul tessuto produttivo del nostro Paese. Siccome i veicoli a benzina o diesel andranno sostituiti con vetture a zero emissioni, come le auto elettriche, mandare in soffitta definitivamente i motori endotermici significa destrutturare intere filiere produttive, a partire dai fornitori per finire alle linee di montaggio anche nelle fabbriche più all'avanguardia dal punto di vista tecnologico. Non solo: per convertirsi definitivamente ai motori elettrici servono nuove competenze, nuovi mestieri, nuove professionalità specifiche, intere linee produttive da ridisegnare, operai, tecnici, impiegati, quadri, dirigenti da formare, con possibili conseguenze sul piano sociale, sindacale,  retributivo, delle relazioni industriali, nei turni in fabbrica, nelle logistiche di produzione, nel controllo qualità, nel lavoro dei concessionari a valle della produzione, nell’assistenza “after market”.

Sarà un processo attentamente monitorato dall’Europa. Da fine 2025 in poi, con cadenza di ogni due anni, la Commissione pubblicherà una relazione tecnica per valutare i progressi via via realizzati verso l’obiettivo delle emissioni zero. Step intermedi di riduzione delle emissioni nel 2030 (rispetto al 2021) sono stati fissati al 55% per le autovetture e al 50% per i furgoni.

Su un piano più strategico, di logistica internazionale, potremmo dire di scenario geopolitico, le conseguenze di questo addio dell'Europa ad auto e furgoni nuovi a benzina e diesel dal 2035 - suggellato dal voto finale della plenaria del Parlamento europeo dopo una lunga trafila legislativa - sono non meno ricche di interrogativi rispetto conseguenze sul piano macroeconomico e occupazionale. Il relatore del provvedimento, membro dell’Europarlamento, l’olandese Jan Huitema, sostiene che «la normativa incentiva la produzione di veicoli a basse e a zero emissioni. Inoltre, contiene un'ambiziosa revisione degli obiettivi per il 2030 e l'obiettivo emissioni zero per il 2035, cruciale per il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050. Questi obiettivi offriranno chiarezza per l'industria automobilistica e stimoleranno l'innovazione e gli investimenti dei costruttori. Acquistare e guidare autovetture a emissioni zero diventerà meno oneroso per i consumatori e porterà a un rapido sviluppo del mercato di seconda mano. Guidare in modo sostenibile diventerà accessibile a tutti». Tuttavia non mancano le incognite. Spiegano gli ingegneri del Gruppo Coyote, una società francese, leader europeo di assistenza alla guida dal 2006, con oltre 15 anni di esperienza nei servizi di mobilità: «Per eliminare del tutto l’immatricolazione di automobili a benzina e a diesel (e dunque approdare a una mobilità fatta di soli veicoli nuovi elettrici a emissioni zero, ndr) è necessario accelerare sullo sviluppo dell’infrastruttura stradale per la ricarica veicolare. Non si può fare a meno che interrogarsi su quali saranno i reali fornitori di questa svolta tecnologica. I principali produttori di batterie per “e-car” sono di base in Oriente: dei primi 10 produttori a livello globale, 5 sono in Cina, 2 in Corea del Sud, 2 in Giappone, 1 in India. Bisogna poi pensare a dove vengono estratte le materie prime necessarie per realizzare queste batterie, a partire per esempio dal cobalto. Guardando a questo preciso materiale, tra i paesi strategici ci saranno nuovamente la Cina, ma anche la Repubblica Democratica del Congo, lo Zambia, l’Australia e la Russia.

Una partita – fatta di controllo politico e finanziario dell materie prime destinate all’automotive elettrica e di sviluppo logistico delle reta di rifornimento elettrico su autostrade e strade di tutti i giorni, in ogni Paese, che sia all’avanguardia o meno moderno, basti pensare alla differenza tra la Germania e il Portogallo, ma mettiamoci pure anche l’Italia, insieme con le incognite di tipo occupazionale – che è soltanto agli inizi, di cui il voto, storico, dell’Europarlamento non è che la prima scintilla di una rivoluzione globale della mobilità su quattro ruote.