Polvere, sangue e paura si mescolano in un unico, angosciante silenzio: file interminabili di uomini, donne e bambini si snodano nel deserto di Gaza, il volto scavato dalla fame, gli occhi pieni di speranza e terrore. È in questo scenario che, tra il 7 giugno e il 24 luglio 2025, le cliniche di Medici Senza Frontiere (MSF) ad Al-Mawasi e Al-Attar hanno accolto 1.380 persone ferite durante le distribuzioni di cibo gestite dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), autentiche “trappole mortali” protette da contractor armati statunitensi, sotto il pieno controllo militare israeliano.

Un’agonia quotidiana

Non si tratta di “frizioni” o “incidenti isolati”, ma di un meccanismo letale, studiato e realizzato come un’arma di terrore. Famiglie disperate, ridotte allo stremo dall’assedio iniziato il 2 marzo, inviano figli di appena 8, 12, 15 anni verso quelli che dovrebbero essere punti di salvataggio, ma che si rivelano teatri di spari mirati. Tra i pazienti giunti ad Al-Mawasi e Al-Attar, 71 erano bambini – 25 dei quali sotto i 15 anni – e 28 sono morti al loro arrivo nelle ambulanze MSF.

Numeri che urtano la coscienza: 1.380 feriti in 7 settimane, di cui 174 colpiti da proiettili e 196 vittime dello scatenarsi di folle impaurite. Nelle cartelle cliniche di Al-Mawasi, l’11 % dei traumi da arma da fuoco ha interessato testa e collo, mentre il 19 % ha colpito torace, addome e schiena, evidenza della precisione anatomica dei colpi e dell’intento di uccidere.Al centro di Khan Younis, prevalgono ferite agli arti inferiori, ma sempre con caratteristiche di spari “mirati” e non casuali.

“Un laboratorio di crudeltà”

«Bambini colpiti al petto mentre cercano di procurarsi del cibo, intere folle falcidiate da colpi d’arma da fuoco, persone soffocate nella calca, altri picchiati e derubati delle loro provviste: mai in 54 anni di attività MSF abbiamo visto una violenza tanto sistematica contro civili disarmati», denuncia Monica Minardi, presidente di MSF.

Nelle settimane analizzate, MSF ha registrato anche 196 casi di ferite causate da BBO – Beaten By Others, ovvero persone colpite o schiacciate dalla folla, compresi un bambino di 5 anni con gravi traumi cranici e una donna morta per asfissia. Sono inoltre frequenti irritazioni oculari da spray urticante e traumi da bastonate, segno che «il sistema di controllo della folla» è esercitato con ferocia gratuita.



Voci dal fronte

«Ci stanno massacrando. Io sono stato ferito forse dieci volte. Ero circondato da cadaveri, ce n’erano una ventina intorno a me, tutti colpiti alla testa o allo stomaco», racconta Mohammed Riad Tabasi, paziente della clinica di Al-Mawasi.
Il 1° agosto 2025, mentre l’inviato speciale statunitense visitava i siti GHF, il quindicenne Mahmoud Jamal Al-Attar è stato ucciso da un colpo al petto vicino al centro di Al-Shakoush: il suo corpo è giunto privo di vita ad Al-Mawasi, l’ennesimo bambino sacrificato in nome di un “aiuto” che si trasforma in strage.
Nel tentativo di sostituire la risposta umanitaria dell’ONU con un sistema militarizzato, a maggio le autorità israeliane hanno imposto la GHF come unico canale di distribuzione. Quattro centri, tutti in aree di pieno controllo israeliano e presidiati da contractor armati americani, trasformano l’assistenza in una strategia di fame forzata e terrore controllato. Un meccanismo che, lungi dal salvare vite, ne spezza quotidianamente centinaia.

L’appello di MSF e la responsabilità internazionale

«Chiediamo che questo sistema letale venga immediatamente smantellato e sostituito con un meccanismo di distribuzione sotto il coordinamento delle Nazioni Unite», afferma Aitor Zabalgogeazkoa, coordinatore dell’emergenza MSF a Gaza. «Ci appelliamo al governo italiano e al Ministro degli Esteri Antonio Tajani affinché, nei rapporti diplomatici con il governo israeliano, sia chiesta con forza la fine di queste uccisioni orchestrate e il ripristino di un sistema realmente umanitario», ribadisce Monica Minardi.

MSF invita anche Stati Uniti e donatori privati a sospendere ogni sostegno politico e finanziario alla GHF, denunciando che l’assedio di Gaza, iniziato il 2 marzo, ha trovato nell’“aiuto umanitario” un nuovo, spietato complice.



Oltre le cifre, la perdita di umanità

Oltre ai numeri, è il dolore dei sopravvissuti a raccontare l’orrore: madri che trasportano figli agonizzanti, padri che cercano freneticamente un pezzetto di pane mentre intorno risuonano spari, volontari MSF che raccolgono brandelli di vita tra sangue e lacrime.

Se la comunità internazionale continuerà a restare a guardare, quei “banconi di cibo” rimarranno laboratori di crudeltà, dove il diritto più elementare – quello di nutrirsi – si paga con la vita. È tempo di agire, senza esitazioni, perché ogni secondo di inerzia alimenta un genocidio silenzioso, scritto coi proiettili sui corpi dei più vulnerabili.