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Una Barbie formato gigante, con il corpo statuario avvolto in un costume a righe degli anni ’50 e i capelli biondissimi legati in una coda alta, irrompe in un paesaggio dai tratti desertici, popolato da bambine intente a cullare bambolotti con sembianze umane. Le piccole, giocando, riproducono tutti i lavori che una perfetta casalinga di quasi un secolo fa doveva padroneggiare con maestria: accudiscono i loro figli, stirano, puliscono, cucinano, prendono il tè. Ma quando vedono Barbie, le bambine si ribellano al ruolo in cui sono state relegate, e cominciano a distruggere tutti i giocattoli: è l’inizio dell’emancipazione femminile.
Comincia così il nuovo – e attesissimo – Barbie, la pellicola che uscirà nei cinema italiani il 20 luglio e che è già annunciato come uno dei film dell’anno. Sotto la regia di Greta Gerwig (che delle donne e alle donne sa parlare molto bene, come hanno dimostrato le nomination ai premi Golden Globe, Oscar e Bafta per le sceneggiature dei suoi Ladybird e Little Women), un cast stellare si muove a cavallo di due mondi: quello tutto rosa e confettato di Barbieland, la terra delle Barbie appunto, e quello reale degli Stati Uniti, dove a dominare non sono più i colori pastello e gli outfit perfetti, ma le tinte più scure di una realtà patriarcale.
La trama, in realtà, è piuttosto semplice. Per Barbie Stereotipo (interpretata dall’attrice australiana Margot Robbie, che della fashion doll è l’incarnazione vivente) ogni giorno è «il giorno perfetto»: si sveglia in un letto a forma di cuore, fa la doccia sotto a un soffione da cui non scende acqua, beve il latte da un cartone vuoto e plana dal tetto della sua casa – perché, come spiega la voce narrante che nella versione inglese è quella di Helen Mirren, «le Barbie non camminano, si spostano in base a dove le posizioni». Insieme alle sue amiche Barbie – distinguibili solo attraverso la qualifica che hanno: Barbie Presidentessa degli USA (Issa Rae), Barbie Scrittrice (Alexandra Shipp), Barbie Giudice della Corte Suprema (Ana Cruz Kayne), Barbie Sirena (Dua Lipa), Barbie Fisica (Emma Mackey), Barbie Medico (Hari Nef), Barbie Diplomatica (Nicola Coughlan), Barbie Giornalista (Ritu Arya), Barbie Avvocata (Sharon Rooney) – conduce un’esistenza priva di preoccupazioni, dove le feste tra sole donne si alternano ai momenti trascorsi in compagnia dei Ken (sì, anche loro hanno tutti lo stesso nome).
Un bel giorno, però, viene aperto un varco nella barriera che separa Barbieland dal mondo degli umani. Le conseguenze sulla protagonista? Piedi piatti, cellulite e pensieri di morte. A dir poco terribili per una Barbie! E così, per far tornare le cose come prima, Margot Robbie è costretta a viaggiare negli States, con l’obiettivo di trovare la bambina che gioca con lei e insieme ricucire questo strappo. A bordo di una macchina rosa e priva di motore, Barbie e Ken (un abbronzatissimo Ryan Gosling dai capelli platinati, che come unica qualità ha quella di saper «spiaggiare», ossia stare in spiaggia) partono all’avventura e arrivano negli USA, dove la realtà è ben diversa da quella che immaginano: qui non sono le donne a comandare, bensì gli uomini, che ricoprono le cariche più alte e hanno la fastidiosa abitudine di commentare, ad alta voce e in maniera inappropriata, tutte le belle ragazze che vedono. Barbie, convinta fino a poco prima che le bambole a sua immagine avessero realmente contribuito a cambiare il mondo ispirando le bambine a essere ciò che sognavano, dovrà imparare a destreggiarsi in un contesto in cui non è tutto rosa e fiori, per poi salvare Barbieland – e qui non facciamo spoiler – da un imprevedibile destino.
Greta Gerwig racconta le problematiche di cui la società attuale è imbevuta: la disparità di genere, la logica del patriarcato, il diritto di avere ambizioni ma anche quello di essere mediocri, il carico mentale che grava quasi sempre solo sulla donna, lo stereotipo dell’uomo medio insulso e anche un po’ stupido e, infine, anche la paura di confrontarsi con il tema naturale della morte. E per farlo la regista sceglie un codice ben preciso: il mondo delle Barbie è color pastello, così come i vestiti dallo stile vintage che indossano, mentre il mondo reale è grigio, abitato da persone che si vestono principalmente di nero e che, a differenza delle bambole, sono alle prese tutti i giorni con un’esistenza che è soggetta a continui cambiamenti. La Barbie di Gerwig è una Barbie sui generis, perché incarna al contempo lo stereotipo della perfezione e la tendenza (umana) a ricercare la verità: è la fusione ossimorica dell’ossessione per la bellezza esteriore e del lavorio interiore. Un lavorio che, man mano che il film procede, finisce per occupare sempre maggior spazio, consegnando il finale a un prevedibile e fiabesco happy ending.



