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«Un uomo interessante, colto, del quale non si poteva non avere stima e che nel biennio 1992-93 si trovò al centro di quella che fu un terremoto, Tangentopoli, che spazzò via tutta la classe politica della Prima Repubblica». È il ritratto che Mattia Feltri, notista politico de La Stampa e autore del libro Novantatré – L’anno del terrore di Mani Pulite (Marsilio 2016), traccia di Francesco Saverio Borrelli, l’ex capo del “pool di Milano” morto sabato mattina a Milano a 89 anni.
Chi è stato Francesco Saverio Borrelli?
«Un magistrato notevolissimo e un uomo di raffinata cultura ed eleganza. Coordinò l’inchiesta di “Mani Pulite” dove, non dimentichiamolo, fu devastato il principio costituzionale della presunzione d’innocenza. Era un nobile meridionale cresciuto in una famiglia di magistrati. Quando Di Pietro arrestò Mario Chiesa, all’alba di Tangentopoli, Borrelli se ne sta quasi nelle retrovie, in disparte».
Perché?
«Forse lo lasciavano perplesso certi metodi da carro armato del pm molisano, forse intuiva che c’era il rischio di un sovvertimento dell’ordine costituito. Poi, dopo tre mesi dall’arresto di Chiesa, diventa il capofila della rivoluzione e si mette a governarla divenendo un punto d’equilibrio del pool. Diffidente all’inizio, poi protagonista e, una volta conclusa l’inchiesta, si spinge a dire che la magistratura può anche assumere una responsabilità di governo. Però chi si propone per un ruolo politico va ben al di là del suo ruolo di magistrato».


Non risulta però che volesse candidarsi.
«Certo che no, immaginava un governo degli ottimati, dei migliori, per poi ritrovarsi prima Berlusconi, e poi dopo Di Maio e Salvini».
“Non valeva la pena buttare all’aria il mondo precedente per cascare in quello attuale”, aveva detto di recente.
«Non credo che con questa frase intendesse dire che fosse stata sbagliata la “rivoluzione” di Mani Pulite ma che non piacevano gli esiti di quella rivoluzione. L’arrivo dei grillini al potere parte anche da quella stagione».
In che senso?
«Tangentopoli riposò su una lettura che fece breccia nell’opinione pubblica ma che era sbagliatissima e politicamente agghiacciante, ossia che il popolo è per definizione buono e onesto ma è guidato da una classe politica di disonesti e prevaricatori. È il mito della purezza che i grillini hanno cavalcato pesantemente per arrivare al potere. Di recente, non a caso, Gherardo Colombo ha detto che gli italiani sono probabilmente più disonesti di chi li governa».
Negli ultimi anni, dopo la pensione, Borrelli era sempre più silenzioso.
«Anche questo lo rende una persona interessante. Il suo era il silenzio di chi sapeva di non dover più aggiungere nulla a quanto detto e fatto. Un comportamento di grande correttezza e dignità civile».





