Solo nel Paese della memoria corta poteva succedere. E infatti è successo. Tutti sappiamo quanto sia stata e continua a essere importante, per l’Italia, l’arte cinematografica. E, dunque, giù lamenti su come eravamo poveri ma belli, sui tanti divi e i molti registi, sui premi Oscar, su Cinecittà che non c’è più, e via così, lacrima dopo lacrima. Ma poi ci si dimentica che la prima vera capitale del cinema italiano non è stata Roma, e neanche Milano, bensì Torino.

E a Torino, il 18 aprile 1914, cent’anni fa, veniva presentato un film destinato a suscitare entusiasmo a livello internazionale e a diventare una pietra miliare del genere storico. Il film è Cabiria, diretto da Giovanni Pastrone, un ragioniere astigiano che si butta con entusiasmo nell’arte cinematografica e intuisce che lo sviluppo del settore è legato non solo alla creatività, ma anche al mondo industriale. È Pastrone a insistere sul fatto che le case di produzione devono costruire propri studi dove realizzare film, assoldare registi e attori, e proporre loro contratti di continuità con la casa di produzione. Non è una vera novità, se vogliamo; studi già esistono a Torino come a Roma, a Milano e Napoli, ma Pastrone non pensa al cinema come a qualcosa di artigianale soltanto, ma anche di industriale. Dalla produzione alla realizzazione, dalla pubblicità alla proiezione e alla distribuzione, un film deve essere accompagnato nel suo percorso da un’unica entità industriale.

Il cinema come industria sarà l’idea vincente degli Stati Uniti, ma nasce proprio in Italia, a Torino, principalmente con Pastrone e la sua casa di produzione, la Itala Film. L’anno prima, il 1913, era uscito il primo “colosso” del cinema mondiale, Quo vadis?, di Enrico Guazzoni, girato a Roma. Ora, nel 1914, è pronto per il pubblico il secondo colosso, o, come lo chiameremo tra poco in tutto il mondo, kolossal, Cabiria.

Pastrone ha fatto ampliare gli studi della Itala Film fino a 22.000 metri quadrati per realizzare quest’opera. Impiega due anni circa per girarlo, e chiede aiuto, ottenendolo, all’esule Gabriele D’Annunzio, riparato in Francia per sfuggire ai molti creditori che lo inseguono vanamente. D’Annunzio realizzerà le didascalie del film di Pastrone. E la firma del poeta è una delle chiavi di volta per attrarre più pubblico, anche se tutto ciò non basta. Il cinema, in quegli anni che stanno a ridosso dello scoppio della prima guerra mondiale, per l’Italia è una novità che comincia a piacere e a prendere piede in modo a tratti esaltante.

Nel 1911, per esempio, è uscito Inferno, regia di Francesco Bertolini, Giuseppe De Liguoro e Adolfo Padovan, primo film italiano a cinque bobine, più di un’ora di durata, prodotto dalla Milano Films, e tratto dalla Divina commedia. E nel 1913, oltre a Quo vadis?, il pubblico riempie i cinematografi per assistere a Gli ultimi giorni di Pompei, di Mario Camerini ed Eleuterio Rodolfi, o versa lacrime appassionate per Ma l’amor mio non muore, di Mario Caserini, con la diva Lyda Borelli.

Il successo di Quo vadis? aiuta Pastrone per il colosso Cabiria, un “peplum”, come gli storici definiranno i film in costume da antichi romani, o - quando Cinecittà sbaraglierà la concorrenza e negli anni Cinquanta diventerà l’Hollywood sul Tevere - un “sandalone”, dai calzari che gli attori erano costretti, non senza qualche perplessità e difficoltà, a indossare, fossero anche Maciste o Ercole o il più improbabile Ursus. Ma ora, nel 1914, i personaggi mitologici sono soprattutto persone “normali”, anche se di qualche secolo prima.

Cabiria, godendo della pubblicità con firma di D’Annunzio, viene presentato come il colosso dei colossi, ed è vero. Il film dura più di tre ore: mai prima s’era azzardato tanto. Le scenografie lasciano a bocca aperta, gigantesche, immense, sovrabbondanti, e le comparse utilizzate sono addirittura 20.000. Quanto alla storia, c’è di tutto, di più: le guerre puniche, Archimede e gli specchi ustori, Annibale e gli elefanti, la battaglia di Zama, Maciste; insomma, il condensato  - oggi diremmo pulp – di tutto l’immaginario più popolare dell’antichità romana. Pastrone assolda anche Ildebrando Pizzetti per le musiche, solo parzialmente scritte dal maestro, e fa predisporre, per l’uscita della pellicola, una copia del Moloch usato nel film in piazza Castello. Vi rimarrà un anno intero.

Il successo del film è di caratura mondiale, dalla Francia agli Stati Uniti tanto che proprio un grande regista come David Wark Griffith, grazie alla visione di Cabiria sente nuovi slanci che lo porteranno a realizzare il suo capolavoro, Intolerance, di lì a pochi mesi. Cabiria entra di diritto tra le grandi opere cinematografiche di sempre, ancora oggi citata nei sacri testi e considerata una delle pellicole più importanti della storia del cinema mondiale.

E il 18 aprile scorso, per rievocare i cent’anni della prima di Cabiria, molti giornali esteri hanno dedicato pagine di articoli e reportage a Pastrone, a Torino, al cinema italiano, a quel film. È per questo che nella sua città, dove esiste il più importante Museo del cinema, a Torino, il 18 aprile, se ne sono scordati. E hanno deciso, dopo, di rimediare. Ma solo a giugno prossimo, nell’Auditorium della Rai, l’ex teatro Vittorio Emanuele, sede, cent’anni fa, della prima di Cabiria.