Alle due di notte del ferragosto 2007, a Duisburg una città da 500mila abitanti, nella parte occidentale della Ruhr in Germania, il cuoco calabrese del ristorante pizzeria Da Bruno chiude il locale con due camerieri e tre amici e si avvia a prendere l'auto. I sei, tutti calabresi, per dirla con la sentenza della Cassazione del 9 giugno 2016 «ritenuti affiliati o comunque vicini» al clan Pelle-Vottari di San Luca, vengono raggiunti nel parcheggio da una gragnuola di 54 colpi sparati da due pistole. Nessuno si salva.

Nel libro La malapianta, scritto a quattro mani con Nicola Gratteri -  all’epoca da sostituto procuratore si occupò a Reggio Calabria delle indagini sulla strage di Duisburg - , il professor Antonio Nicaso, da sempre impegnato nello studio della 'Ndrangheta, ricostruisce così la vicenda sottesa alla strage: «L’inzio della faida di San Luca», scrive Nicaso, «è datato 1991. L’ultimo atto è stato quello di Duisburg, a Ferragosto del 2007. In mezzo c’erano stati 11 anni di tregua. Da una parte il Pelle-Vottari, dall’altra i Nirta-Strangio. A Natale del 2006, nel tentativo di eliminare Giovanni Nirta, il presunto boss dell’omonimo clan, venne uccisa la moglie Maria Strangio, un errore imperdonabile, che ha reso inevitabile il bagno di sangue in Germania».


Perché è così simbolica da diventare un film

Il 15 agosto 2007 – non a caso un giorno festivo, come tutti quelli dei delitti della faida tesi a trasformare in lutto la festa del clan rivale - la Germania si sveglia dovendo prendere collettivamente atto del fatto che la ’Ndrangheta non è un problema degli italiani ma investe il cuore dell’Europa. La notizia fa il giro del mondo. Come spesso accade, perché l’opinione pubblica prenda coscienza del pericolo dell’infiltrazione mafiosa nel poprio territorio, c’è bisogno di un evento eclatante, non per niente Giuseppe Pignatone, ex procuratore della Repubblica di Roma, in una intervista a Fc spiegava che l’assenza di eventi eclatanti rende il contrasto ancora più difficile, perché favorisce fenomeni di rimozione, anche in presenza di segnali e sentenze che ci sono da tempi non sospetti ma non giungono ad attirare l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica.

La strage di Duisburg è per l’Europa l’evento eclatante: «Con la strage di Ferragosto a Duisburg», si legge in un documento della Commissione Parlamentare antimafia della XV legislatura, «la Germania e l’Europa scoprono attoniti la micidiale potenza di fuoco e l’enorme potenzialità criminale di una mafia proveniente dalle profondità remote e inaccessibili di un mondo rurale e arcaico. Molte cose colpiscono gli stupefatti investigatori tedeschi e l’immaginario collettivo: la determinazione e la professionalità degli assassini, il numero e l’età dei morti, il fatto che la strage sia stata compiuta nel cuore dell’Europa civilizzata a migliaia di chilometri di distanza da San Luca e un santino bruciato - indicatore inequivoco di una recente affiliazione rituale - trovato in tasca a uno dei giovani assassinati. Parte sotterraneo da San Luca ed erompe a Duisburg un connubio esplosivo fra vendette ancestrali e affari milionari, un misto di faide tribali e di spietata modernità mafiosa, producendo uno shock improvviso e micidiale per l’opinione pubblica e per le autorità tedesche. In realtà, però, i segni premonitori c’erano già tutti da tempo e la strage di Ferragosto è un indicatore tragico e quasi metaforico della sottovalutazione da parte delle autorità tedesche della ’ndrangheta e del suo grado di penetrazione e radicamento in quel paese, oltre che in Europa e nel resto del mondo».


Processi e sentenze
Per la catena di delitti, connessi alla faida di San Luca, e commessi tra il Natale del 2006 e il Ferragosto 2007, notte della strage di Duisburg, la Cassazione ha confermato il 9 giugno 2016 cinque ergastoli. Altri due processi, scaturiti dal rinvio in corte d’Assise d’Appello da parte della Cassazione, sono in corso. Un ricorso straordinario contro la sentenza già definitiva è stato respinto dalla Cassazione nel marzo 2018.
Il contrasto nel mondo dopo Duisburg
La grande difficoltà, da sempre, nel perseguire reati di criminalità organizzata, sempre più transnazionali, viene dalla faticosa armonizzazione di legislazioni diverse. La maggior parte degli Stati non ha come l’Italia e gli Stati Uniti un reato che punisca l’associazione, l’appartenenza al clan. L’Europa ha dal 2002 il mandato di arresto europeo, che rappresenta un passo avanti nella trasmissione degli atti tra Paesi diversi. Ma in molti casi il coordinamento è ancora difficile e molta strada resta da fare. Anche se recenti operazioni di polizia congiunte – come l’operazione “Pollino” che nel dicembre 2018 ha portato a una novantina di arresti sul fronte del narcotraffico riconducibile alla ‘ndrangheta, con la collaborazione di autorità giudiziarie e di polizia di Paesi Bassi, Italia, Germania, Belgio e Lussemburgo - lasciano intendere che qualche passo avanti si stia compiendo. Come pure è un avanzamento la prima sentenza che mette nero su bianco la presenza della ‘Ndrangheta sul territorio canadese, emessa il 5 marzo 2019 dal giudice Brian O’Marra della corte di giustizia dell’Ontario.