PHOTO


The Future of English: Global Perspectives: si intitola così la nuova ricerca curata dal British Council sullo stato della lingua inglese nel mondo, che mercoledì 18 ottobre è stata presentata per la prima volta in Italia in occasione dell’evento “The Future of English: Implications for Policy-Making”, tenutosi all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Scritto dai membri del British Council Mina Patel, Mike Solly e Steve Copeland e curato dal professor Barry O’ Sullivan insieme alla professoressa Yan Jin, lo studio analizza il ruolo che l’inglese ricopre nel mondo e si interroga sul destino che lo attende nei prossimi anni, alla luce dei cambiamenti sociali, educativi, comunicativi, tecnologici e lavorativi che hanno influenzato (e tuttora influenzano) l’apprendimento di questa lingua.
Ponendo l’attenzione sulla necessità di adottare nuovi approcci all’insegnamento e politiche educative differenti sulla base dei diversi contesti di partenza, la ricerca, condotta in collaborazione con 92 esperti e policy makers di 49 Paesi di tutto il mondo, sottolinea come l’inglese non sia più considerata un’abilità che soltanto alcune persone acquisiscono, bensì una competenza di base essenziale: lo dimostra, ad esempio, il fatto che su una popolazione mondiale di circa 7.513.416.900 individui, almeno 2.317.900.100 di loro parlino inglese come lingua madre o come lingua aggiuntiva.
«Siamo entusiasti di continuare la conversazione con gli operatori e gli esperti del settore sullo stato dell’arte dell’educazione in lingua inglese in Italia e nel mondo, per discutere insieme di cosa ci riserva il futuro e di come possiamo agire congiuntamente per continuare a trasformare vite attraverso l’istruzione», ha dichiarato Brian Young, Country Director del British Council Italia che ha partecipato all’incontro insieme al professor O’ Sullivan, all’autrice Patel e a Gisella Langé, Senior Adviser e Ispettrice tecnica per le lingue straniere presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Che l’inglese sia ormai una lingua franca, d’altronde, è testimoniato anche dagli ambiti in cui viene utilizzata sempre più spesso: dal commercio all’università, dalla medicina all’aviazione, dalle aziende alla tecnologia, fino ad arrivare ai social media e ai siti web, dove il 60% dei contenuti è anglofono a prescindere dal dominio di origine. I motivi principali dietro a una diffusione così capillare non sono poi difficili da intuire: in un mondo globalizzato, infatti, conoscere l’inglese significa conoscere la lingua mondiale della comunicazione, che consente di aspirare a lavori più prestigiosi e ben retribuiti, (e quindi a una maggiore sicurezza economica), a un’educazione migliore (molte delle ricerche in campo universitario sono redatte esclusivamente in lingua inglese) e a un utilizzo più proficuo dei social media.
Fra i temi discussi nella ricerca, non mancano il ruolo ricoperto dall’Intelligenza Artificiale, utile per incrementare l’apprendimento dell’inglese, ma decisamente non ancora capace di sostituire gli insegnanti; l’utilità di erogare corsi universitari in lingua inglese, evitando invece di impartire lezioni in lingua straniera alle elementari, dove l’educazione base necessita di essere appresa in lingua madre; l’importanza di cambiare il sistema di insegnamento della lingua inglese, sostituendo i vecchi metodi di educazione e valutazione basati solo su grammatica e lessico con verifiche e lezioni in grado di testare la capacità di ascolto e di comunicazione, decisamente più rilevanti nell’utilizzo di una lingua straniera.
«The Future of English è solo uno degli elementi di un programma di attività a lungo termine, con al centro la ricerca e la divulgazione», ha chiosato Young. «Speriamo continui a promuovere il dialogo, a costruire le basi e a fornire strumenti per le future politiche educative e di internazionalizzazione».
The Future of English: Global Perspectives: si intitola così la nuova ricerca curata dal British Council sullo stato della lingua inglese nel mondo, che mercoledì 18 ottobre è stata presentata per la prima volta in Italia in occasione dell’evento “The Future of English: Implications for Policy-Making”, tenutosi all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Scritto dai membri del British Council Mina Patel, Mike Solly e Steve Copeland e curato dal professor Barry O’ Sullivan insieme alla professoressa Yan Jin, lo studio analizza il ruolo che l’inglese ricopre nel mondo e si interroga sul destino che lo attende nei prossimi anni, alla luce dei cambiamenti sociali, educativi, comunicativi, tecnologici e lavorativi che hanno influenzato (e tuttora influenzano) l’apprendimento di questa lingua.
Ponendo l’attenzione sulla necessità di adottare nuovi approcci all’insegnamento e politiche educative differenti sulla base dei diversi contesti di partenza, la ricerca, condotta in collaborazione con 92 esperti e policy makers di 49 Paesi di tutto il mondo, sottolinea come l’inglese non sia più considerata un’abilità che soltanto alcune persone acquisiscono, bensì una competenza di base essenziale: lo dimostra, ad esempio, il fatto che su una popolazione mondiale di circa 7.513.416.900 individui, almeno 2.317.900.100 di loro parlino inglese come lingua madre o come lingua aggiuntiva.
«Siamo entusiasti di continuare la conversazione con gli operatori e gli esperti del settore sullo stato dell’arte dell’educazione in lingua inglese in Italia e nel mondo, per discutere insieme di cosa ci riserva il futuro e di come possiamo agire congiuntamente per continuare a trasformare vite attraverso l’istruzione», ha dichiarato Brian Young, Country Director del British Council Italia che ha partecipato all’incontro insieme al professor O’ Sullivan, all’autrice Patel e a Gisella Langé, Senior Adviser e Ispettrice tecnica per le lingue straniere presso il Ministero dell’Istruzione e del Merito.
Che l’inglese sia ormai una lingua franca, d’altronde, è testimoniato anche dagli ambiti in cui viene utilizzata sempre più spesso: dal commercio all’università, dalla medicina all’aviazione, dalle aziende alla tecnologia, fino ad arrivare ai social media e ai siti web, dove il 60% dei contenuti è anglofono a prescindere dal dominio di origine. I motivi principali dietro a una diffusione così capillare non sono poi difficili da intuire: in un mondo globalizzato, infatti, conoscere l’inglese significa conoscere la lingua mondiale della comunicazione, che consente di aspirare a lavori più prestigiosi e ben retribuiti, (e quindi a una maggiore sicurezza economica), a un’educazione migliore (molte delle ricerche in campo universitario sono redatte esclusivamente in lingua inglese) e a un utilizzo più proficuo dei social media.
Fra i temi discussi nella ricerca, non mancano il ruolo ricoperto dall’Intelligenza Artificiale, utile per incrementare l’apprendimento dell’inglese, ma decisamente non ancora capace di sostituire gli insegnanti; l’utilità di erogare corsi universitari in lingua inglese, evitando invece di impartire lezioni in lingua straniera alle elementari, dove l’educazione base necessita di essere appresa in lingua madre; l’importanza di cambiare il sistema di insegnamento della lingua inglese, sostituendo i vecchi metodi di educazione e valutazione basati solo su grammatica e lessico con verifiche e lezioni in grado di testare la capacità di ascolto e di comunicazione, decisamente più rilevanti nell’utilizzo di una lingua straniera.
«The Future of English è solo uno degli elementi di un programma di attività a lungo termine, con al centro la ricerca e la divulgazione», ha chiosato Young. «Speriamo continui a promuovere il dialogo, a costruire le basi e a fornire strumenti per le future politiche educative e di internazionalizzazione».



