Guidare in modo spericolato e “fuori dai limiti consueti” per girare un video per youtube da caricare su una piattaforma chiamata Borderline: è questo il fatto che oggi ci raccontano i media. Ce lo raccontano perché ha avuto conseguenze tragiche. Perché un’azione che avrebbe dovuto procurare like e commenti entusiastici sui social network ha invece portato a un gravissimo incidente stradale in cui ha perso la vita un bambino di 5 anni, la cui mamma e sorellina sono ricoverate in prognosi riservata in ospedale. Di fronte a notizie così, noi genitori restiamo in balia di emozioni contrastanti. Prevale il dolore inconsolabile per una morte assurda che, da genitori, immaginiamo essere fonte di una sofferenza la cui portata è inimmaginabile per chi lo deve affrontare e attraversare.

Poi però c’è lo sgomento. Lo sgomento di sapere che alcuni giovani adulti ventenni stanno giocando con la vita e con la morte propria e degli altri, per girare video da pubblicare su un sito di sfide estreme chiamato borderline. Come è possibile che si entri nella prima adultità così incapaci di dirigere le proprie azioni verso obiettivi propri del mondo adulto? Come è possibile che la popolarità da rincorrere su un social sembri qualcosa da rincorrere contro ogni regola del mondo reale, contro ogni logica e intelligenza, contro quello che i nostri nonni chiamavano “comune buon senso”? Gli aspetti problematici in questa storia sono innumerevoli. È problematico sapere che ci sono giovani adulti che usano le auto per fare scorribande stradali pericolosissime, con la stessa attitudine e sensibilità con cui si muoverebbero dentro un a videogioco. In Gran Theft Auto, uno dei videogiochi più popolari al mondo, diventi campione quanto più guidi in modo estremo e spericolato, uccidendo chi trovi sulla tua strada. Certo lì lo fai per finta. Nella community chiamata Borderline, invece, la fai davvero. Certo non vinci se uccidi qualcuno. Ma vinci se fai le imprese più estreme e poi le carichi sulla piattaforma affinché tutti le possano vedere e metterti un like. Per ottenere più like, devi essere capace di imprese estreme, imprese che come richiama bene il nome della community, sono “al limite”, borderline appunto. Come per esempio, guidare per 50 ore consecutive. Contro ogni buon senso. Contro ogni rispetto dei limiti che il tuo corpo e lo stesso codice della strada ti impone.

Certo i ragazzi di cui oggi parla tutta la nazione avrebbero voluto che di loro si parlasse solo dentro la community Borderline. E invece ci sono persone che piangono fuori da quella community, ci sono adulti che si interrogano su come la stupidità che ti richiede l’essere popolare nei social non possa essere regolata e cancellata per legge, ci sono adolescenti che di fronte a notizie così commentano dicendo “Sono proprio dei cretini quelli lì” non sapendo che magari domani, nell’ingaggio senza fine e senza limiti delle loro community, potrebbero trovarsi protagonisti o vittime di esperienze molto simili.

La community Borderline è una community basata sulla socializzazione di video di sfide estreme. Situazioni in cui ti metti alla prova per andare oltre ogni limite. Tratti la vita e la morte come se fossero beni facilmente rimpiazzabili e sostituibili. Invece di vite ne hai una sola. Che termina quando arriva la morte. Devi temerla la morte. Ma soprattutto devi rispettarla. Non devi mai sfidarla. Solitamente crescendo impari a conoscere e maneggiare il dolore che essa porta nella vita delle persone, all’interno del principio di realtà. Sai che genera dolore, perdita, lutto, trauma. E allora la maneggi con estrema cautela, la tiene a distanza, impari a regolarne la presenza nella tua vita. Perché solo se sai che c’è, puoi tenerla a debita distanza dal territorio della cosa più preziosa e unica che hai: la vita. Nelle sfide estreme, invece, la morte viene trattata come se fosse l’ingrediente di un gioco. Serve a fare punti, a creare like. Più la sfidi, più diventi popolare. Nelle sfide estreme e nelle community che ne diffondono i video, della vita vera non sai nulla, non capisci nulla, non impari nulla.

Notizie come quella che stiamo commentando, ci parlano del vuoto educativo in cui – volenti e nolenti – stiamo facendo crescere i nostri figli. Ci conferma che l’online è un campo magnetico che continua a tenere agganciate le vite, i desideri di divertimento e affermazione dei nostri figli, illudendoli che tutto funziona come nel paese dei balocchi di Collodi. Solo che Pinocchio una mattina si sveglia e si accorge di avere sulla testa orecchie d’asino. Nel loro Paese dei Balocchi i nostri figli invece si svegliano e hanno l’illusione di essere diventati simpatici, popolari, affermati, validi e competenti. Invece sono solo fragili e illusi. Il dolore che proviamo oggi come genitori ed educatori non ci deve semplicemente far mettere in crisi il mondo dei social che si sta mangiando il cervello e la voglia di vita dei nostri figli, illudendoli che virtuale e reale sono due mondi identici e che diventare “popolari” e “cool” nei social equivale ad avere il lasciapassare per una vita reale piena di opportunità e successo. Queste sono favole che valgono solo nei Paesi dei Balocchi. E l’online lo è per definizione.

La notizia di oggi ci deve anche portare a riprenderci in mano il territorio della crescita in cui i nostri figli costruiscono la loro identità, i loro valori, i loro desideri. Dobbiamo rimetterli a contatto con la vita reale, insegnare loro a maneggiare il dolore, a rimanere connessi con un’interiorità fatta di emozioni, cognizioni, ideali e valori che vanno prima pensati e poi agiti. Significa fornire presenza, sguardi, relazioni. Ma anche esempio e testimonianza del fatto che essere adulti è una cosa seria e non un giro di giostra da sperimentare nel primo Paese dei Balocchi che trovi aperto sulla tua strada.