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Maria, nome di fantasia, è una delle ragazze più dolci che ho conosciuto in questi nove anni di volontariato in carcere. Minuta e coraggiosa, dopo un gemellaggio della sua università con una casa di reclusione, si è fidanzata con un ragazzo, che sconta una condanna per omicidio. Più che amore, a muovere Maria era un grandissimo senso di accudimento, oltre che la sua innata anima da crocerossina. Mai decollata fino in fondo, la storia è finita. In pochi mesi.
Anita, altro nome di fantasia, ha invece addirittura sposato il suo bel rapinatore. Un amore travolgente, iniziato dietro le sbarre e coronato appunto con un matrimonio. Telefonate strappalacrime, permessi premio vissuti tra passione e promesse… Finché, quando il neosposo ha ottenuto il regime di semilibertà, la coppia… è scoppiata. L’idea di relazione che aveva Anita non ha retto, davanti alla quotidianità di un amore che diventava reale. E chissà come finirà il matrimonio di Mario Pincarelli: condannato, insieme ai fratelli Bianchi, per l’omicidio di Willy Duarte, avvenuto a Colleferro, sposerà a breve nel carcere di Civitavecchia dove è detenuto - secondo quanto riferisce l’Agenzia Nova - una donna che si è innamorata di lui, vedendolo in televisione. Nulla di nuovo: da Renato Vallanzasca, che ha sposato in carcere una sua “fan”, a Pietro Maso, i cattivi ragazzi sembrano far breccia nel cuore femminile.
Secondo lo psicologo e scrittore RJ Parker, ci sono diversi motivi per cui le donne sono attratte da chi ha commesso crimini. Prima di tutto - può sembrare banale ma non lo è - un marito detenuto offre la garanzia (quasi…) di non tradire. In altri casi, si pensa di riuscire a riscattare e salvare l’anima del proprio uomo o, per assurdo, di condividerne la notorietà. In casi estremi, invece, siamo di fronte alla cosiddetta sindrome di Bonnie e Clyde, che prende il nome proprio dal rapporto d'amore che legava la coppia di criminali Bonnie Parker e Clyde Barrow, attiva in America negli anni Trenta. In termini tecnici, si parla di ibristofilia, parola coniata nel 1986 dallo psicologo e sessuologo neozelandese John Money, cioè un tipo di parafilia (ossia fantasie, impulsi o comportamenti sessuali ricorrenti) verso pregiudicati o addirittura autori di crimini. E non si parla soltanto di donne fragili, autolesioniste o psicologicamente instabili: in molti casi, a innamorarsi di ergastolani o detenuti con lunga pena sono persone forti, socialmente e professionalmente realizzate. Un paio di anni fa, ad esempio, fece notizia la storia di Vicky White, agente di polizia penitenziaria, che aveva fatto evadere il detenuto Casey White da una prigione dell’Alabama. Storia finita tragicamente, ma che la dice lunga sulla miriade di motivazioni che spingono tra le braccia di un criminale. Senza andare troppo lontano, in un carcere che non diremo un’operatrice psichiatrica (che, quindi, le basi dei comportamenti patologici doveva averle), si è innamorata di un uomo legato alla criminalità organizzata, con il quale aveva iniziato una vera storia d’amore clandestina. Finché non è stata scoperta dalla polizia penitenziaria, che le ha vietato l’ingresso in carcere.
Insomma, i motivi per cui ci si innamora di un uomo (anche se è detenuto, perché dietro ogni prigioniero c’è un uomo), sono infiniti, misteriosi, come imperscrutabili sono tutte le realtà che interessano l’anima. Certo, psicologi e sociologi hanno numerosi dati per elaborare le loro teorie. Ma rimangono, appunto, teorie. Corrette dal punto di vista scientifico, ma le persone - e i sentimenti - sono altro.
Come volontaria in alcuni penitenziari tra sbarre e blindi, pomeriggi estivi infuocati e mattinate invernali gelide e grigie, ho incontrato centinaia di uomini. Colpevoli, quasi tutti. Consapevoli dell’errore commesso, molti. Nessuno di loro conserva però la fama del macho, se mai l’abbia avuta. Perché in carcere le teorie non reggono. Perché in cella ci sono uomini, e non detenuti astratti. Persone, anche con una buona formazione culturale e umana, che spesso si stanno ricostruendo, dall’anima stropicciata, dal presente incerto, dal passato da cancellare, ma dal futuro da scrivere. Sono uomini (e donne ma, essendo in numero minore, non rientrano nelle statistiche) che si presentano per quello che sono, dal momento che quello che fanno - o che hanno fatto - non ha bisogno di presentazioni: è evidente e ingombrante. Ragazzi che, per questo, hanno imparato a essere sinceri, hanno scoperto il valore dei rapporti umani, e ricominciano da quello. Di persone così ci si può innamorare, anche se hanno sbagliato. Anna (altro nome di fantasia) è una volontaria che, durante un progetto culturale, ha incontrato un detenuto e si è innamorata. Ora, lui ha finito di scontare la sua pena, vivono insieme, hanno comprato casa e sono felici, sereni. Come scrive Silvia Avallone in Cuore Nero, il suo ultimo romanzo che parla di carcere e di amore, prendiamo il buono che c’è in ogni persona. E da qui ricominciamo. Perché tutto passa. E se non passa, cambia.



