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La Darsena dopo il coprifuoco delle 23 a Milano, 24 ottobre 2020.ANSA/Mourad Balti Touati
A Milano, un gruppo di ragazze, due delle quali minorenni, ruba da un giubbotto dimenticato in un bar un paio di airpods. Il proprietario torna a riprendere la giacca e si accorge subito del furto. Con la App riesce a rintracciare le cuffiette e si dirige verso i gradoni della Darsena per recuperarle. Giunto lì, attiva il segnalatore che risuona nello zaino di una ragazza intenta a bere da una bottiglia di birra. Il ragazzo richiede indietro ciò che è suo e in un attimo la situazione degenera. La ragazza rompe al muro la bottiglia e la usa come arma per minacciarlo. Il ragazzo scappa e chiama la polizia che interviene prontamente ma che anch'essa subisce la reazione violenta delle ragazze. Questa notizia di cronaca, uguale a tante altre, colpisce perché a vestire i panni dell'aggressore sono delle ragazze, nelle quali borse sono stati trovati un tirapugni e un martello rompi i vetri, oggetti impropri per chiunque si prepari a trascorrere una serata al bar.
La violenza non ha genere. Le cronache spesso narrano vicende di uomini che agiscono soprusi e violenze nei confronti delle donne ma l’esperienza soggettiva da una parte e la storia dall’altra, narrano di come anche il femminile abbia dentro di sé un’anima aggressiva per l’affermazione di sé. Le armi possono essere materiali, come in questo caso o immateriali come il parlare alle spalle, lo screditare, offendere o denigrare. Lavorando molto spesso nelle scuole mi capita di intercettare dinamiche prettamente femminili di un potere usato contro l’altra per definire chi si è. L’escludere una compagna può essere un’arma sottile e invisibile che genera molto dolore in chi la subisce. Tanti film, solo per citarne uno Thirteen (2003), hanno raccontato queste dinamiche e vederli insieme a scuola o in famiglia potrebbe essere una buona occasione per parlare insieme del perchè la prepotenza non deve essere il luogo dove costruire la propria identità.
Le ragazze (come anche i ragazzi) hanno bisogno di sentirsi riconosciuti e parte di un gruppo che vede in loro un valore. “Se le altre hanno paura di me, mi guarderanno con rispetto” questa può essere una via per conquistare la propria sicurezza così come il rubare qualcosa a qualcuno o in un grande magazzino. L’adrenalina e la dopamina prodotte mentre si compie una trasgressione generano una scarica energetica potente di cui il cervello in adolescenza è affamato e che distoglie dalla paura delle proprie fragilità. Oggi il senso di insicurezza che abita molte adolescenti è in constante crescita. Le ricerche dicono che l’insoddisfazione riguarda soprattutto l’accettazione della propria immagine corporea. Sulle ragioni che nutrono questa insicurezza il dibattito è molto aperto. Moltissimi studi indagano la correlazione tra soddisfazione corporea e crescente utilizzo quotidiano di social quali Instagram, TikTok, Snapchat ed è innegabile che queste pratiche abbiano reso più complessa la costruzione del senso di sè. Le ragazze combattono con il loro corpo in molti modi e uno tra questo è la ricerca di forme di affermazione di sé tra i propri pari, spesso anche nei territori della trasgressione. Ostentare la sicurezza di attaccare un ragazzo di quindici anni con una bottiglia in mano è un modo per affermarsi davanti agli occhi delle amiche. Peccato però sia un modo altamente distruttivo e controproducente.
Occorre offrire a chi sta crescendo esperienze di appartenenza che permettano di vivere intensamente la socializzazione coi pari e con gli adulti. È fondamentale che il femminile sia meno associato a un’ideale di bellezza irraggiungibile che genera stress e insicurezza. “Mi guardo ogni mattina allo specchio ed è così difficile uscire di casa!” sono le parole di una ragazza di quindici anni che si uniscono a quelle di molte altre. Servono luoghi ed esperienze formali e informali dove ragazze e donne possano incontrarsi e sostenersi nella costruzione delle proprie sicurezze. Sono moltissimi gli esempi già attivi nelle realtà territoriali, esperienze alle quali si dà ancora poco spazio nei media. Sentirsi belle e degni è una conquista complessa fatta di molti ingredienti diversi ed è necessario aiutare le ragazze ad usare in modo costruttivo la potente energie che le abita. Quel coraggio di sfidare le regole deve essere incanalato in azioni che non infrangono le leggi ma piuttosto contribuiscono a costruire bellezza.
Noi donne adulte dobbiamo impegnarci ad essere modelli credibili. Troppe volte siamo protagoniste di situazioni dove perdiamo il controllo e usiamo la prepotenza per affermare noi stesse. Il lavoro con le ragazze che hanno commesso questo reato dovrà essere, oltre al processo giuridico, anche quello di aiutarle a costruire un loro pensiero sul confine tra bene e male. Un lavoro difficile ma quanto mai necessario. Dostoevskij dedicò infinite pagine in “Delitto e castigo” alla fatica per il suo protagonista di pentirsi e di entrare in contatto con la sua coscienza. Oggi come ieri questo è lo sforzo educativo che dobbiamo sostenere con ogni ragazza e ragazzo che incontriamo quotidianamente nella nostra vita di adulti.





