La corrispondenza di amorosi sensi, almeno al cinema, è una perla rara. Eravamo abituati a vedere una sedia vuota, ma lo scenario è cambiato. Sulla scia di un gigante come Abbas Kiarostami (di cui è stato assistente alla regia), l’iraniano Jafar Panahi, uno dei più grandi registi viventi, ha confermato il pronostico e si è aggiudicato la Palma d’oro della 78ma edizione del Festival di Cannes con A simple accident (prossimamente in sala con Lucky Red), nonostante un blackout lungo ore abbia minacciato il corretto svolgimento della cerimonia di premiazione.

Il film ha messo d’accordo tutti, perché si tratta di un racconto universale, di rara forza, in cui si condannano le guerre e le oppressioni. Panahi si sofferma con intimismo e passione sulla storia di un uomo che, dopo anni, incontra il suo aguzzino. Decide di giustiziarlo, ma un dilemma etico lo attanaglia: sarà giusto ucciderlo? E soprattutto, è davvero lui che gli ha rovinato la vita? Quello di Panahi è un grido di libertà attraverso la macchina da presa. Dopo Antonioni è l’unico cineasta ad essersi aggiudicato la Palma d’oro, l’Orso d’oro, il Leone d’oro e il Pardo d’oro. Manca solo l’Oscar, che speriamo possa arrivare quest’anno.

Panahi viene normalmente accostato alla Nouvelle Vague iraniana, iniziata negli anni Settanta. È sempre stato un dissidente, schierato contro il regime. Tutti i suoi film sono stati girati in clandestinità, senza avere i permessi, e con pochi mezzi. Nel tempo è diventato anche protagonista delle sue storie. È stato più volte arrestato, torturato, privato dei suoi diritti.

A sua difesa si è schierata la comunità internazionale, e la speranza è che questo riconoscimento a Cannes non abbia ripercussioni al suo rientro in patria. Per chi scrive Il cerchio e Il palloncino bianco restano due delle visioni più potenti sullo schermo degli ultimi tre decenni. Quello che descrive Panahi con A simple accident è un abbraccio tra passato e presente. Ed è stata questa l’immagine cardine che ha segnato il Festival. Sul manifesto ufficiale è immortalato proprio l’abbraccio tra Anouk Aimée e Jean-Louis Trintignant in Un uomo, una donna di Claude Lelouch. Alla serata di apertura Robert De Niro, quando ha ricevuto la Palma d’oro onoraria, è andato subito ad abbracciare Leonardo DiCaprio.

C’è una ricerca di ottimismo e perdono in questi tempi bui, proprio come abbiamo visto in Jeunes mères dei fratelli Dardenne. Il concorso è stato di alto livello, con storie che mettevano l’accento sullo scorrere del tempo e sugli affetti. Avrebbe magari meritato di più il rigoroso Two prosecutors di Sergei Loznitsa (escluso dal palmarès), e l’Italia di Mario Martone con Fuori resta ancora una volta a bocca asciutta. Ma vedere un film trascinante come O agente secreto del brasiliano Kleber Mendonça Filho vincere due premi (migliore attore a Wagner Moura e migliore regia) non può che scaldare il cuore. Viva Cannes, viva la speranza, viva il cinema.