di Luca Pernice

"Nel nostro Paese si respira un'aria di superficialità e di normalizzazione". È questo il monito lanciato da don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele e di Libera, che questa mattina ha preso parte all'ottavo anniversario della strage, avvenuta a San Marco in Lamis nel Foggiano il 9 agosto del 2017, in cui furono uccisi i fratelli agricoltori Luigi e Aurelio Luciani, vittime innocenti della violenza mafiosa.

“L'indifferenza sta crescendo e si sta allargando, ma noi dobbiamo avere la forza per guardare oltre la nebbia del presente”, ha detto don Ciotti, sottolineando la necessità di una presenza consapevole e di un impegno costante della società civile. Il co-presidente di Libera ha riconosciuto gli “enormi passi in avanti” compiuti grazie all'impegno di forze dell'ordine e magistratura, ma ha avvertito che non sono sufficienti. “L'ultima mafia rischia sempre di essere la penultima, perché nel codice dei mafiosi c'è un imperativo: quello di rigenerarsi”, ha spiegato. Per contrastare questa continua evoluzione criminale, il suo appello è chiaro: “Tocca a noi come cittadini, movimenti, associazioni, rigenerarci. Tocca a noi esserci sempre e assumerci sempre più la nostra parte di responsabilità”.

Don Ciotti ha definito l'indifferenza, l'egoismo e l'individualismo come le “malattie del nostro tempo”, insieme alla tendenza a delegare le responsabilità ad altri. “A volte", ha rimarcato, "dobbiamo forse interrogarci sulle nostre latitanze, sui nostri ritardi. Non possiamo accontentarci di conservare l’esistente”.

La giustizia e la verità non sono accessori della vita”, ha ribadito, evidenziando come la fame di verità e giustizia sia l'unico modo per costruire un “noi” capace di ribellarsi alla normalizzazione e di superare gli ostacoli al cambiamento. Rivolgendosi alle vedove dei fratelli Luciani ha evidenziato anche che “la vicinanza ai familiari delle vittime non è solo un momento di grande emozione, ma deve essere un impegno che ci assumiamo tutti, perché possa essere realmente un seme di speranza e cambiamento”. Il cambiamento, ha aggiunto, “ha bisogno del contributo di ciascuno di noi”, e la speranza “ha bisogno del nostro impegno e della nostra responsabilità”.  

Nel suo intervento, ricordando che “c’è una diffusa e preoccupante stanchezza democratica” ha lanciato soprattutto un richiamo all'azione e all'amore, inteso non solo come sentimento ma come un vero e proprio impegno civico. “La preghiera è l'immersione nell'amore di Dio ed è una mano tesa a stringere quella dei fratelli. Papa Francesco ricordava che nel Vangelo, Gesù raccomanda di non dire tante parole ma di compiere gesti di amore e di speranza nel nome del Signore. Il nostro impegno è l'amore. L'amare non viene stabilito da chi ama ma da chi ha bisogno di essere amato”.

“Questa fame di giustizia e verità deve accompagnarci sempre”, ha chiosato don Ciotti, lasciando ai presenti un messaggio di speranza e un'esortazione a un'azione concreta e collettiva.