Non siamo un Paese bloccato. Non c’è riuscito neanche il Coronavirus. Le competenze, la sapienza del fare e dell’organizzare e la solidarietà continuano a viaggiare e a ricucire gli strappi che rischiano di lacerare l’unità nazionale. Nei giorni della massima emergenza da Covid-19, un incredibile scambio di organi ha salvato la vita a quattro persone in dialisi,  in una catena positiva che da Nord è andata a Sud e da Sud è tornata a Nord.

   Tutto comincia dall’espianto di un rene da persona deceduta a Torino. L’organo risulta compatibile con un paziente ricoverato a Padova, sul quale viene impiantato. A sua volta, Padova dona un rene (ottenuto da vivente, cioè regalato da qualcuno) a Palermo, che restituisce il favore inviandone un altro a Bari. Qui la moglie del ricevente, grata per il gesto che ha salvato il marito, decide di farsi espiantare un rene che subito parte per Torino.

   Il cerchio si chiude là dove si era aperto,  grazie al programma Cross-over del nostro Servizio Sanitario Nazionale (davvero una bella “prova d’orchestra”), che si è dimostrato capace di badare al sodo, cioè alla salute dei pazienti, anche in questi tempi di emergenza, riuscendo ­ con un complicato incastro di ricerca di compatibilità e  permessi burocratici ­ a far superare agli organi i confini imposti invece alle persone, nel timore della diffusione dell’epidemia da Coronavirus.

   Grazie a notizie come questa veniamo allora a sapere che a diffondersi non è solo la paura, ma anche la cultura del dono (un rene possono offrirlo tutti). Troppo presto per pensare a un’epidemia della solidarietà, ma non troppo tardi per sperarlo.